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lunedì 10 luglio 2017

Egitto, dove si contano cinque Regeni al giorno

Il Fatto Quotidiano
Chiunque si oppone ai militari finisce in carcere o sparisce: è noto a tutti. Ogni cosa è sotto controllo, non ci sono regole certe, vince solo la perenne e diffusa paura.
Ma è come se fosse normale.
 

Gli ultimi studi dei centri di ricerca internazionali sono vecchi di anni. Non si trova più neppure la Lonely Planet. L'Egitto, in questo momento, non interessa a nessuno. Turisti, analisti, giornalisti: sono andati via tutti. Tornare al Cairo è triste. Nel 2011 i ragazzi di piazza Tahrir erano un esempio per i ventenni di tutto il mondo: persino per gli americani, che per una volta si ispirarono agli arabi, e occuparono Zuccotti Park.

Si veniva qui, e ci si ricaricava di energia, creatività. Coraggio. Oggi piazza Tahrir non è più neppure una piazza. Per intralciare le manifestazioni, è stato costruito un po' di tutto, muretti, pilastri, sfiati d'aria del nuovo parcheggio sotterraneo. Barriere di ogni tipo. Dai blindati, tiratori scelti presidiano le strade di accesso. 

Mentre un drone sorveglia il resto. Non è rimasto più niente di quei momenti. Gli egiziani ti guardano stanchi. E preoccupati. Giornata nera?, azzardo a un uomo che ha un chiosco di arance. "Vita nera", dice. E questo, nel Cairo di al-Sisi, è il massimo delle conversazioni possibili. Hanno tutti paura. Paura non solo di protestare: paura di parlare. L'omicidio di Giulio Regeni ci ha lasciato allibiti: ma nel 2016, in Egitto sono svaniti nel nulla cinque Regeni al giorno. In Egitto, la ferocia è prassi. Capita, per strada, che la polizia trascini via qualcuno a manganellate. Ma si tira dritto. Si finge di non vedere. "Va tutto bene", mi dice un antiquario della città vecchia. "E come altro potrebbe andare?", dice. "Va tutto bene. Tutto benissimo".

di Francesca Borri

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