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venerdì 18 maggio 2018

Torino, attacco razzista, a fuoco camper con 2 famiglie rom. Il Comune e il Paese ignorarono ...

Il Fatto Quotidiano
La notte del 7 sul 8 maggio, a Torino, nel quartiere Mirafiori, davanti a una chiesa, un camper pieno di “zingarelli”, piccoli e addormentati prende fuoco. Si sente la frenata di una macchina e subito dopo un botto. La mamma, fortunatamente ancora sveglia prende i bambini e li mette in salvo prima che il camper bruciasse completamente. La gente, gli abitanti del quartiere escono per strada, guardano il camper in fiamme, la famiglia scioccata con bambini spaventati. Filmano con telefonini, si dividono tra chi ride e chi è scontento dell’esito provocato dalla Molotov: “Dovevano bruciare!”


La famiglia scappa e si ripara presso i parenti fuori città, la stampa tace, le istituzioni tacciono, la polizia immediatamente parla di una faida interna (ipotesi per me non plausibile in questo caso). 


Asgi, un piccolo barlume di civiltà, assiste la famiglia nel fare la denuncia. Una ordinaria storia della “vita di zingari”! Fino a dove arriva la nostra memoria collettiva, c’è sempre stato chi ci voleva bruciare. A qualcuno è andata anche piuttosto bene, ne ha bruciati più di mezzo milione durante la Seconda guerra mondiale.

Chi è peggio? Il vigliacco che tenta di uccidere una famiglia inerme gettando la molotov sul camper in cui dormano tre adulti e quattro bambini piccoli, oppure i “cittadini” che guardano, filmano, ridono e commentano: dovevano bruciare!? Il primo è un criminale che si sente spalleggiato dai politici che per anni hanno istigato l’odio contro rom e sinti, i secondi sono quelli che hanno permesso a fascisti e nazisti di prendere il potere e provocare il più grande abominio dell’umanità. 

Entrambi sono tornati, i vigliacchi che colpiscono gli inermi e i vigliacchi che applaudono, sono tra noi nelle nostre città, impuniti e protervi fanno della loro vigliaccheria una bandiera. Chi tace o lascia correre, cittadini e istituzioni, arma le mani che buttano le Molotov.

Dijana Pavlovic

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