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giovedì 19 aprile 2018

Marzoug, la storia del pescatore di migranti, per dare loro degna sepoltura.

La Stampa
Il tunisino ha passato gli ultimi dieci anni a portare a bordo della sua imbarcazione i morti nel Mediterraneo. Il gruppo della Sinistra unitaria (Gue) ha voluto far conoscere all’Europa il diretto interessato a Strasburgo.


Chamssedine Marzoug
Il pescatore lo fa dal 1987, da quanto aveva vent’anni esatti. Gli ultimi dieci, di anni, li ha passati a portare a bordo della sua imbarcazione i morti nel Mediterraneo. Chamssedine Marzoug è il tunisino tristemente noto per essere il pescatore dei migranti. Un volto come tanti, la storia non comune di un uomo che il gruppo della Sinistra unitaria (Gue) ha voluto far conoscere all’Europa invitando il diretto interessato a Strasburgo. Un modo per denunciare l’orrore e il lato più doloroso di un fenomeno, quello migratorio, cui gli Stati membri dell’Ue rispondono con muri e indifferenza. La presenza di Marzoug è l’occasione per tornare a chiedere all’Europa degli Stati di cambiare approccio.

Marzoug salpa ogni giorno da Zarzis, in Tunisia. Ma non per cercare pesci, o almeno non più solo quelli. «Coopero nel recupero dei corpi in mare a livello volontario», racconta. È lui, assieme agli operatori delle associazioni, a sostituirsi alla Guardia costiera quando questa non può. «A volte il mare è grosso» e le navi non possono uscire, oppure le motovedette sono impegnate in altre attività. «Quando non sono disponibili siamo noi a fare il lavoro». Con tutto ciò che ne deriva. «Le nostre barche sono state intercettate dalle milizie libiche, prese in ostaggio con riscatti da 50 mila euro, 5 anni di lavoro per noi». Ma questo non ferma le associazioni e i volontari come Marzoug.

In dieci anni Chamssedine Marzoug ha riportato a terra oltre 400 corpi, più di sessanta solo lo scorso anno. Le cose sembrano andare meglio nel 2018: da inizio anno sono stati recuperati sei corpi. È lui a pulirli e seppellirli nel cimitero degli sconosciuti. «Adesso però non c’è più posto, e chiediamo di avere un nuovo luogo di sepoltura».
Richieste che non dovrebbero avere ragion d’essere, ma che la realtà dei fatti impone.

Nel canale che costeggia la sede del Parlamento di Strasburgo Marzoug e la Gue hanno offerto una rappresentazione della sua attività quotidiana. Sagome bianche galleggianti a forma d’uomo sono state messe in acqua, mentre un manichino è stato deposto sulla banchina, per poter riprodurre il recupero del corpo, il suo lavaggio e la sua pulizia, e la successiva chiusura in bare su cui non viene impresso un nome ma un numero. Quando ci sono bare, perché i corpi quasi sempre finiscono nei ‘body bag’, i sacchi mortuari. È stato inscenato anche il corteo funebre, con la finta bara trasportata a spalla dal canale all’ingresso del Parlamento europeo.

«Io non faccio distinzione di religione, né guardo il colore delle pelle», sottolinea il pescatore di migranti. «Seppellisco tutti. La vita ha già rifiutato queste persone, non possiamo rifiutarle anche da morte». È il massimo che può fare. «E’ il mondo deve dare risposte».

La Tunisia, dove si contano 10 milioni di abitanti, ha accolto finora un milione di rifugiati solo dalla Libia, tanti quanti hanno attraversato il Mediterraneo nel 2015. L’Ue, che di persone ne conta mezzo miliardo, fa di tutto per evitare di farsi carico di un decimo di quello che ospita la Tunisia. La presenza di Chamssedine Marzoug a Strasburgo serve anche a questo, a ricordare le vergogne di un’Europa che fin qui ha fatto poco. «Basta morti in mare», recita uno striscione della Gue esposto per l’occasione. È quello che dice anche Marzoug. «Non ce la facciamo più a vedere cadaveri in mare».

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