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giovedì 19 ottobre 2017

Somalia - 300 morti e e centinaia di feriti nell'attentato ... ma già non se ne parla più.

Avvenire
Si fa di ora in ora più drammatico il bilancio del doppio attacco suicida di sabato a Mogadiscio, in Somalia. Fonti mediche riferiscono che i morti sono almeno 300, mentre si contano centinaia di feriti. Si tratta dell'attacco più sanguinoso dall'inizio dell'insurrezione islamista di al-Shabab nel 2007.


Il doppio attacco suicida sarebbe opera dei terroristi di al-Shabaab. Molte persone sotto le macerie di un albergo in parte distrutto.

Il presidente Mohamed Abdullah Mohamed ha decretato tre giorni di lutto nazionale. L'attentato non è stato rivendicato ma viene attribuito ai terroristi di al-Shahab, legati ad al-Qaeda.
Esplose due autobomba
La prima esplosione, apparentemente innescata da un camion-bomba, ha colpito l’entrata di un albergo, il Safari Hotel, nella zona delle ambasciate e su una delle arterie più trafficate della capitale, dove di recente i terroristi di al-Shabaab hanno messo a segno una serie di attentati. Qui si registra la maggior parte delle vittime, con molte persone rimaste sotto le macerie dell’albergo in parte distrutto.

Secondo alcuni testimoni, dopo l’esplosione sono stati uditi anche diversi colpi di arma da fuoco. I vetri delle finestre di numerosi edifici sono andati in frantumi mentre alcuni veicoli sono stati rovesciati dall’onda d’urto della deflagrazione e si sono incendiati. «C’era molto traffico e la strada era piena di gente a piedi e di autovetture – ha raccontato sconvolto Abdinur Abdulle, cameriere in un vicino ristorante –. È un disastro».
Una seconda autobomba è esplosa, sempre sabato, nel quartiere di Madina.
«A Mogadiscio non c'è una famiglia che non sia in lutto»
«Mai vista tanta devastazione... ogni famiglia di Mogadiscio ha perso qualcuno o conosceva qualcuno che è rimasto ucciso nell'esplosione» ha raccontato ad al Jazeera il direttore del servizio ambulanze di Mogadiscio, Abdulkadir Abdirahman. «Era un giorno normale, molto tranquillo. Ero seduto dietro la mia scrivania. Il nostro ufficio è a circa un chilometro dalla scena dell'esplosione - ha raccontato Abdirahman - All'improvviso ho sentito un'enorme esplosione. Ha tremato tutto. Non avevo mai sentito niente di più forte prima. Nel giro di pochi minuti il cielo si è ricoperto di un fumo molto scuro che ha addirittura coperto la luce del sole. Ho alzato il telefono e ho chiamato il resto della squadra. Non ho avuto bisogno di dire nulla, perché tutti avevano sentito l'esplosione. Ci siamo tutti precipitati verso la colonna di fumo».

Il servizio di ambulanze è attivo a Mogadiscio dal 2008, e «non abbiamo mai visto tanta devastazione. Nemmeno in sogno», ha proseguito Abdirahman. «Dovunque ci giravamo, c'erano cadaveri, persone ferite che chiedevano aiuto. Non avrei mai immaginato di vedere una scena simile: edifici enormi completamente distrutti. Edifici crollati. Veicoli ribaltati e bruciati. L'asfalto era coperto di sangue, corpi e brandelli di vestiti. Il nostro Paese non ha mai visto niente di neanche simile. In uno dei minibus bruciati c'erano studenti di ritorno da scuola, non dimenticherò mai quella scena orribile».
In Somalia una forte instabilità politica

L'attentato è stato messo a segno due giorni dopo le dimissioni del Capo delle forze armate, Ahmed Jimale Irfid, in carica da aprile, e del ministro della Difesa, Abdirashid Abdullahi Mohamed. Non sono note le motivazioni di queste dimissioni. Alcune fonti hanno detto al sito somalo Garowe che alcuni Paesi che sostengono la Somalia nella ricostruzione delle proprie forze armate e nella lotta contro gli Shebab avrebbero presentato lamentele nei loro confronti. Secondo altri resoconti, il ministro si sarebbe dimesso a fronte di una mancata collaborazione da parte del premier somalo Hassan Ali Khaire.

Le loro dimissioni sono arrivate in un momento di forte instabilità politica del Paese, con le autorità regionali somale che hanno sfidato l'autorità costituzionale del governo del presidente Mohamed Abdullahi Mohamed Farmajo, contestando la sua decisione di tenere il Paese neutrale rispetto alla crisi tra i Paesi del Golfo.

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