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martedì 17 ottobre 2017

L’altra Svizzera, al via la grande marcia pro-migranti in 50 tappe

La Stampa
Associazioni laiche e cristiane, sindacati, movimenti per i diritti civili, studenti e pensionati manifestano in 50 tappe (mille chilometri a piedi) contro la chiusura della Confederazione a rifugiati e frontalieri, tra denunce e droni alle frontiere. «Basta con la sorda burocrazia e i respingimenti indiscriminati, vogliamo più solidarietà»


Anche la Svizzera ha la sua marcia Perugia-Assisi. Una lunga marcia che farà il giro dell’intera Confedazione è partita domenica mattina dalla cittadina di Bellinzona, cuore del Canton Ticino: associazioni laiche e cristiane, sindacati, movimenti per i diritti civili, studenti e pensionati si sono ritrovati per una manifestazione “Welcome refugees” in salsa elvetica, per aprire la porta a migranti e rifugiati, e dire basta alle politiche anti-frontalieri.

In cammino per 50 giorni, mille chilometri di sentieri e strade percorse rigorosamente a piedi: dal confine sud con la Lombardia fino a lambire la Germania, dai passi di montagna al lago di Neuchatel. Ogni tappa un incontro. Per provare a raccontare che c’è un’altra Svizzera, altrettanto ricca ma meno egoista, inclusiva e non esclusiva.

«È una prima volta per far passare il concetto che la barca non è piena», spiega Lisa Bosia, parlamentare socialista a Lugano e anima dell’organizzazione: «Vogliamo toccare centri di identificazione e caserme per denunciare una politica d’asilo sempre più restrittiva, vorremmo maggiore solidarietà verso chi arriva nel nostro Paese e trova solo una sorda burocrazia e respingimenti indiscriminati». Bosia è stata condannata un mese fa (pena sospesa per due anni con la condizionale) per aver aiutato 24 eritrei che provavano ad attraversare il confine nell’estate del 2016. A partire da allora le guardie di confine elvetiche hanno schierato una mole di uomini e mezzi eccezionale per affrontare quella che tra le sonnacchiose cittadine era vissuta come «una minaccia» tanto da portare i cittadini a denunciare «persone di colore» che passavano per strada la sera, come «clandestini», con il drone che di notte sorvolava i valichi.

Uno sforzo di uomini e mezzi che ha dato i suoi frutti: a luglio, nel mese più caldo dei respingimenti con la stazione di Como trasformata in un campo profughi, i migranti hanno provato ad attraversare il varco italo-svizzero 4.834 volte e 3.406 volte sono stati respinti indietro. Con una procedura che secondo Amnesty International violava una ventina di norme nazionali ed europee tra cui il regolamento Dublino, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il trattato di Schengen a cui la Svizzera aderisce anche se non fa parte dell’Unione europea.

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