Pagine

martedì 10 ottobre 2017

I contadini in India si seppelliscono per difendere la loro terra dal “landgrabbing”

La Repubblica
Contadini immersi nel terreno fino al collo: nel Rajasthan la protesta non violenta per fermare un piano di espansione che prevede la costruzione di alloggi su terreni occupati da 2.500 famiglie. L'organizzatore: "Se vogliono rubarci le nostre terre, dovranno passare con i bulldozer sopra le nostre teste"


Immersi nel terreno fino al collo. Solo le teste rimangono fuori dalla sabbia. Quasi sembrano boccheggiare, pochi respiri ancora, prima d’essere sradicati: la protesta dei coltivatori di Nindar, villaggio a una manciata di chilometri dal centro di Jaipur, nell’India nord-occidentale, è un atto estremo di resistenza, nel tentativo di rimanere aggrappati al loro bene più prezioso. 

Da giorni un manipolo di contadini dello stato desertico di Rajasthan manifesta contro la Jaipur Development Authority in difesa di 540 acri che dovrebbero far posto a 10mila alloggi in un progetto d’espansione della vicina città turistica.

“Dal 2 ottobre, compleanno del Mahatma Gandhi, abbiamo iniziato la zaamen samadhi satyagraha (la protesta della sepoltura), in segno di profondo attaccamento alla nostra terra: è un atto di forza morale non violento. Satyagraha significa infatti richiesta di ascolto della verità. Chi manifesta ha perso o sta perdendo i propri terreni a causa dei piani del governo, che colpiscono oltre 2.500 famiglie nell’area, 18 colonie residenziali e 20 dhani (piccoli conglomerati di case, ndr)”, spiega a la Repubblica Nagendra Singh Shekhawat, leader del Nandeer Movement e coordinatore della protesta: “Crediamo che l’acquisizione non sia avvenuta con metodi democratici: oltre l’80 per cento delle parti coinvolte non ha ceduto le proprie terre. E anche quanti l’hanno fatto, in cambio di compensazioni non adeguate, vogliono riaverle: sostengono che la Jda abbia usato diversi metodi di pressione per ottenerle”.

L’eco del millantato sviluppo, da queste parti, ha in effetti un nome ben preciso: “landgrabbing”, accaparramento della terra. A farne le spese, migliaia di piccoli agricoltori, che quei terreni occupano e di quei terreni vivono da generazioni. 

Un fenomeno cresciuto del mille per cento nel Sud del mondo dopo la crisi finanziara del 2008 e che interessa larghe porzioni di terre concesse a terzi o acquisite da governi e autorità: si cercano spazi per la produzione di cibo o materie prime a basso costo per alimentare i mercati ricchi con beni di consumo e combustibili vegetali, o per costruire infrastrutture e centri turistici, espandere le aree urbane, occupare militarmente un territorio. 

Un processo speculativo che galvanizza le multinazionali e spesso implica la violazione di diritti umani, studi non adeguati sull’impatto ambientale, sociale ed economico degli investimenti, ma anche una mancata partecipazione democratica delle comunità interessate e l’assenza di un loro consenso preventivo, libero e consapevole.

di 
Valentina Barresi

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.