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martedì 8 agosto 2017

Sbagliato attaccare l’umanitario: è il nostro miglior made in Italy

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di Marco Impagliazzo

La visita a Roma dell'inviato Onu per la Libia, Ghassan Salamé, ha il vantaggio di riportare il dibattito sulla questione libica a livello internazionale. Va ripresa, infatti, una forte iniziativa sotto l'egida dell'ONU per affrontare una crisi geopolitica e umanitaria di vaste dimensioni che nessun paese da solo è in grado di risolvere. L'Italia, che tra l'altro oggi siede nel Consiglio di Sicurezza, appoggia con forza questa iniziativa. La Comunità di Sant'Egidio, in accordo con l'ONU, nei mesi scorsi ha favorito il dialogo politico tra alcune città della Tripolitania per stabilizzare la regione. Lo stesso con le tribù del Fezzan.
La ricostruzione dell'unità della Libia, la sua pacificazione e il ristabilimento di un governo internazionalmente riconosciuto permetterebbero, tra l'altro, di affrontare con efficacia la questione migratoria, lo sfruttamento di esseri umani con sofferenze e anche morti. E' un tema che, al di là delle polemiche politiche di questi giorni, si presenta come una questione di lungo periodo.

Lo "scontro" tra la visione della sicurezza e quella umanitaria ha creato non pochi mal di pancia e reazioni. Parte del mondo cattolico, alcuni vescovi, il giornale Avvenire, e le organizzazioni umanitarie, hanno posto l'accento sulla priorità umanitaria, considerato – e poco lo si fa – il numero elevatissimo di vittime nel Mediterraneo e la situazione disastrosa dei centri di detenzione per i migranti in Libia. E' uno dei pochi Stati –lo si può ancora definire così?– a non aver sottoscritto la Convenzione di Ginevra sui rifugiati del 1951. 


Chi salva vite umane in mare o chi accoglie i profughi provenienti dalla Libia conosce bene l'intensità e l'estensione delle sofferenze da loro subite. Ciò che preoccupa, d'altra parte, è la reazione scomposta e fortemente critica di parte del mondo politico, intellettuale o della stampa verso l'azione umanitaria. L'espressione "taxi del mare" per indicare le navi delle ONG, nella sua volgarità, ne è chiara manifestazione. Invece chi è a contatto con i migranti si rende conto che la situazione è umanamente insostenibile. D'altra parte chi ha in mano la cosa pubblica ha bisogno di trovare soluzioni a una questione allarmante in sé ma anche per una narrazione frutto di emozioni e di percezioni più che della realtà.

Tutte le inchieste dicono che gli italiani sono tra i più disinformati in Europa sul fenomeno migratorio (dai numeri degli immigrati, alla religione che professano ecc). La realtà non conta, ma la percezione. Le responsabilità di tale allarmismo sono evidenti, soprattutto quando la questione migratoria diventa oggetto di campagne elettorali (quindi di semplificazioni), mentre ci sarebbe bisogno di risposte competenti e di lungo periodo.

Un esempio sono i corridoi umanitari, aperti ormai da un anno con la Siria, che hanno permesso di giungere nel nostro paese i profughi in sicurezza per loro e per l'Italia. Ci sarebbe anche da ripensare all'introduzione della sponsorship o all'allargamento dei criteri per i ricongiungimenti familiari (molti che arrivano in Italia vogliono raggiungere i parenti in Nord Europa). Così come all'introduzione di quote a livello europeo per motivi di lavoro, viste le nuove necessità di manodopera createsi con la ripresa economica. Tutti strumenti che toglierebbero acqua allo sfruttamento e all'illegalità.

In più: sottovalutare, o addirittura irridere, il lavoro umanitario, è fare torto alla storia del nostro Paese e di tanti italiani. Quanto l'Italia è conosciuta e amata nel mondo per l'impegno umanitario e nello sviluppo dei popoli di tanti italiani? Ricordo che in Mozambico, durante la guerra che provocava estrema povertà, si diceva: "in Italia ci sono tre città", Reggio Emilia (per la cooperazione del PCI emiliano), Sant'Egidio (per il lavoro della pace) e Roma (per il Papa e i missionari). E' un episodio, ma dà l'idea della "simpatia" verso l'Italia creata da tanto lavoro di cooperazione. "Simpatia" che poi è divenuta rapporti istituzionali ed economici importanti e duraturi. L'"Italsimpatia", tanto diffusa nel mondo, è fatta anche di questo.

Si dice spesso che altri Paesi sono più scaltri del nostro perché sanno curare i loro interessi nazionali, anche con politiche spregiudicate. Noi, invece, saremmo indietro sulla scena internazionale perché troppo mossi dall'emotività e dal "cuore", oltre che dalla nostra tradizione cattolica. In realtà, avendo girato abbastanza il mondo, posso dire con tranquillità che l'umanitario è parte del nostro interesse nazionale. Il lavoro encomiabile della nostra Marina Militare e della Guardia Costiera nel Mediterraneo centrale in questi anni è stato encomiabile e un esempio luminoso rispetto agli egoismi europei. Non buttiamo a mare tutto questo. Ricostruire la fiducia tra istituzioni e chi opera nell'umanitario è oggi prioritario, anche per difendere un nostro interesse nazionale vitale.

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