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martedì 29 agosto 2017

Pago le tasse perché Raggi faccia pulizia sì, ma non di povera gente. Perché Minniti combatta le mafie, non le Ong

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Come cittadino italiano e romano non pago le tasse da una vita perché la polizia possa sgomberare a colpi d'idranti nel cuore della capitale un gruppo di rifugiati etiopi ed eritrei con regolare permesso, scampati a guerre e persecuzioni, picchiando madri davanti agli occhi dei figli. Ho pagato le tasse e tante, poiché ho sempre guadagnato, perché lo Stato non affronti il problema della povertà con i manganelli e la polizia sgomberi le strade dai criminali. 


Le pago perché la giunta Raggi faccia pulizia sì, ma non di povera gente, piuttosto delle montagne d'immondizia che crescono perfino più del numero di assessori 5 Stelle e stanno trasformando la città più bella del mondo in una discarica a cielo aperto. Pago le tasse perché il ministro Minniti nei fatti e non a parole combatta 'ndrangheta, mafia e camorra, che non sono mai state tanto potenti, invece di fare la guerra alla Caritas e a Medici Senza Frontiere, organizzazioni dalle quali onestamente non mi sento minacciato. Anche se capisco che sia meno pericoloso e più redditizio in termini di voti.

La caccia al migrante sta diventando il tema dominante e condiviso di tre aree politiche, centrodestra, Pd e Cinque Stelle, che sono già in campagna elettorale, ma non hanno uno straccio d'idea, neppure vaga, sul come affrontare i seri problemi del Paese. Certo non "l'invasione" di 150 mila rifugiati su una popolazione di 60 milioni di abitanti, ma vogliamo far ridere? Piuttosto il livello record di giovani che non lavorano e non studiano, il progressivo declino industriale, l'esponenziale crescita delle mafie, il dissesto idrogeologico, il più alto consumo di territorio del continente, la catastrofe di una scuola tenuta in vita soltanto dal sacrificio degli insegnanti peggio pagati d'Europa, un ruolo sempre più marginale nell'Unione.

Su questi temi la politica nazionale non ha nulla da dire o da proporre. Encefalogramma piatto. Il leader reale del centrodestra, Matteo Salvini, non ha mai lavorato un giorno nella vita e quindi non s'interessa del settore. Il Pd è ridotto a una protesi dell'ego arroventato del suo leader, che ha dimostrato ad abundantiam nel libro appena pubblicato di non avere alcuna proposta seria da offrire agli elettori, ma soltanto vendette da consumare nel caso remoto che gli italiani lo rimandino a Palazzo Chigi. I nuovi dei 5 Stelle non sono in grado di amministrare Comuni e quindi figurarsi la Nazione, per giunta hanno assunto in fretta il costume trasformistico dei vecchi. Così il premier in pectore Di Maio, noto più che altro per l'uso avventuroso della lingua madre, si scaglia contro i governi condonisti responsabili della tragedia di Ischia, mentre i Comuni 5 Stelle cementificano ovunque, da Bagheria a Roma a Torino, autorizzando colate di centri commerciali e abusi edilizi, con la scusa dello stadio o dell'eredità del passato o degli abusi di necessità (fenomeno estinto in Italia da vent'anni) e magari domani di una infanzia difficile.

In assenza totale di programmi, piani industriali, semplici visioni del futuro del Paese, i tre schieramenti si fanno concorrenza nella caccia al capro espiatorio. E' davvero difficile spiegare oltre la cortina di Chiasso che in un paese dove le mafie vantano un giro di affari di 150 miliardi l'anno, tre volte il valore della Borsa di Milano, il ministro dell'Interno è impegnato in una polemica quotidiana, ormai da mesi, con Medici Senza Frontiere, Emergency, la Caritas e ora anche l'Unicef e papa Francesco. Il Grillo di un tempo avrebbe risposto a tutto questo con una sola parola. Ma anche lui adesso opera dei distinguo.

Curzio Maltese

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