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domenica 12 marzo 2017

Filippine. La pena di morte passa alla Camera, vescovi in «lutto»

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La Camera «ha dato allo stato il permesso di uccidere»: lo ha dichiarato l’arcivescovo di Lingayen-Dagupan, monsignor Socrates B. Villegas, presidente della Conferenza episcopale filippina, dopo che la Camera dei rappresentanti ha approvato, alla terza lettura, il ripristino della pena capitale nella nazione per reati legati alla droga, in linea con la campagna del Governo contro i narcotrafficanti che ha già ucciso migliaia di persone. Sono esclusi i crimini che erano punibili in precedenza, come il furto, lo stupro o il tradimento.


Martedì, durante la sessione plenaria della Camera, 217 membri hanno espresso parere favorevole al progetto di legge che reintroduce la pena di morte, cinquantaquattro hanno votato no, mentre uno si è astenuto. 

Il provvedimento è stato promosso dall’alleanza che sostiene il presidente della Repubblica e capo del Governo, Rodrigo Duterte, e fortemente voluto da quest’ultimo. Adesso il progetto di legge passerà al Senato, assemblea composta da ventiquattro membri, in cui il partito del capo dello stato detiene la maggioranza. L’approvazione definitiva appare dunque scontata.

La Chiesa cattolica nelle Filippine è «in lutto», hanno sottolineato i presuli, precisando di non sentirsi sconfitti. «Né potremo essere messi a tacere. Nel mezzo della quaresima — si legge in una dichiarazione dell’episcopato — ci prepariamo a celebrare il trionfo della vita sulla morte, e, mentre noi siamo addolorati perché la Camera ha votato per la morte, la nostra fede ci rassicura che la vita trionferà». I pastori richiamano i fedeli a una generale mobilitazione per manifestare «lo spirito di opposizione» alla pena di morte. E chiedono agli avvocati, ai giudici e ai giuristi cattolici del paese «di consentire alla dolcezza del Vangelo di illuminare il loro operato e l’applicazione della legge, portando vita nel loro servizio alla società».

I legislatori — ha sottolineato Rodolfo Diamante, segretario esecutivo della Commissione episcopale per la pastorale carceraria — «hanno servito i loro interessi personali e non il bene comune, sacrificando la coscienza e i principi». La pena capitale era prevista nell’ordinamento della Repubblica delle Filippine, indipendente dal 1946, e restò in vigore anche durante il periodo della dittatura di Ferdinando Marcos. Fu sospesa nel 1987 sotto la presidenza di Corazón Aquino e poi reintrodotta durante il governo Ramos per «crimini efferati». Durante la presidenza di Joseph Estrada, nel 1999, avvenne l’esecuzione di Leo Echegaray, a cui seguì una nuova moratoria. Nel 2006, il governo di Gloria Macapagal-Arroyo firmò l’abolizione della pena di morte. Dal 2006 — riferisce l’agenzia Fides — le Filippine hanno sostenuto la causa abolizionista, promuovendo diverse iniziative in ambito internazionale e riuscendo anche a ottenere la commutazione delle condanne alla pena capitale inflitte a cittadini filippini all’estero.

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