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giovedì 22 settembre 2016

Italia - Migranti. Quei 48 sudanesi rimpatriati e i dubbi sulla tutela dei loro diritti

L'Unità
Il 24 agosto scorso, alcuni i giornali riportano una notizia alquanto preoccupante: il rimpatrio di 48 cittadini sudanesi con un volo Egyptair, partito da Torino e diretto a Khartoum. I tempi brevissimi in cui si è svolta l'operazione - diversamente da quanto accade solitamente nei casi di rimpatri dai centri di identificazione e di espulsione - possono far temere la possibilità di violazioni e lasciano spazio a numerosi quesiti da me già rivolti al Ministero dell'Interno con un'interrogazione.



La preoccupazione più grande è che le persone coinvolte non abbiano ricevuto un'opportuna informazione legale. E che la loro posizione giuridica non sia stata adeguatamente valutata, così da escludere il rischio di trovarsi un una situazione di pericolo una volta rientrati in Sudan. 

E va detto che, purtroppo, un simile rischio è tutt'altro che escluso. Insieme a Valentina Brinis e a Vitaliana Curigliano, infatti, grazie ad alcune segnalazioni, abbiamo potuto ricostruire quanto avvenuto dal 19 agosto in poi.

I sudanesi, una volta giunti in Italia e transitati nell'hotspot di Taranto, successivamente si sono diretti a Ventimiglia. Un percorso che compiono in molti nel tentativo di superare il confine tra Italia e Francia. Qui, il 19 agosto, sono stati foto-segnalati dalla polizia. Da Ventimiglia, dopo due giorni di viaggio, sono stati riportati esattamente laddove era iniziato il loro cammino: ovvero all'hotspot di Taranto dove sono rimasti ancora per qualche giorno ed è stato loro notificato un decreto di espulsione e accompagnamento alla frontiera.
L'intero gruppo è poi ripartito alla volta di Torino. Alcuni di loro sono saliti sul volo diretto a Kahrtoum, una piccola parte è stata trasferita al Cie di corso Brunelleschi con un decreto di trattenimento. Da Taranto a Torino pare che ci sia stata un'unica tappa a Ventimiglia (di nuovo!) per il cambio del pullman. Pacchi postali, merci viaggianti, bagagli in transito. E c'è da chiedersi, di conseguenza, perché mai far attraversare per ben due volte l'Italia, in lungo e largo, 2.200 chilometri, se poi quelle stesse persone devono imbarcarsi dall'aeroporto di Torino, che si trova ad appena 200 chilometri da Ventimiglia?
E, soprattutto, su quale base giuridica il gruppo di oltre cinquanta persone è stato trasferito da Ventimiglia a Taranto e di fatto privato della libertà per alcuni giorni, prima di procedere all'operazione di rimpatrio? Il centro di Taranto è un hotspot o funge anche da centro di trattenimento? Infine, in che momento e in che forma le autorità sudanesi hanno confermato l'appartenenza nazionale dei membri di quel gruppo?
Le procedure di rimpatrio si sarebbero svolte sulla base di quanto definito nel memorandum d'intesa su rimpatri e gestione delle frontiere sottoscritto dalle forze di polizia italiane e sudanesi il 4 agosto scorso. 

Un tipo di accordo che non richiede il vaglio e l'approvazione del Parlamento. A questo punto si considerino alcuni dati: il numero di sudanesi sbarcati negli ultimi mesi sulle nostre coste è alto; sono aumentate le richieste d'asilo e, tra quanti hanno fatto domanda di protezione, circa il 60% ha ottenuto un esito positivo.
Indice certo, quest'ultimo, dell'alto grado di insicurezza che domina tuttora quel paese. Per non parlare delle numerose segnalazioni da parte delle principali organizzazioni internazionali, in merito alla fragilità dell'intero sistema democratico e di tutela dei diritti umani in Sudan, e alla figura fosca di Bashir oggetto di indagini da parte della Corte penale internazionale per crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio, e nei cui confronti è già stato spiccato un mandato di cattura. 

In un contesto del genere, il rimpatrio anche di uno solo di quei cittadini sudanesi avvenuto in tempi rapidissimi e con l'intervento di autorità consolari o funzionari sudanesi non può che destare fortissime preoccupazioni.

Di quali garanzie disponiamo sul fatto che in un lasso di tempo tanto breve, e nel corso di spostamenti così frenetici, quelle persone abbiano avuto modo di essere adeguatamente informate sui propri diritti, a cominciare da quello di chiedere protezione in Italia? 

Ed è stato appurato da parte del ministero dell'Interno che nessuno di loro corresse alcun rischio per la propria incolumità una volta tornato in Sudan? Ecco, tutto questo, può celarsi dietro quella notizia, enfaticamente comunicata a fine agosto, sul "rimpatrio di decine di clandestini".

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