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sabato 30 aprile 2016

Pakistan, pena di morte per blasfemia per un SMS a una coppia cristiani

Avvenire
A un anno dalla condanna a morte e a quasi due dall’arresto, è stato accolto il ricorso in appello per due coniugi cristiani “colpevoli” di blasfemia in Pakistan. E la prima udienza sarà fissata a maggio. Shafqat Emmanuel e Shagufta Kausar, entrambi 43enni e genitori di quattro figli, erano stati denunciati il 21 luglio 2013 da un leader religioso musulmano, che aveva accusato l’uomo di avergli inviato un Sms ingiurioso per la fede islamica. In realtà, come aveva rilevato l’avvocato Nadeem Hassan che cura la difesa della coppia, il testo sarebbe partito da un telefonino smarrito da tempo.
Circostanza che avvalora la tesi di accuse motivate forse da risentimento verso i due che risiedeva nella città di Gojra, nella provincia del Punjab. Qui, all’inizio di agosto 2009 una folla sobillata da voci di profanazione di una copia del Corano, assalì l’area abitata dai cristiani avviando violenze che costarono la vita a una ventina di persone. 

Nell’incendio appiccato dagli assalitori furono bruciate un’ottantina di abitazioni e tra le fiamme morirono sette membri di una stessa famiglia. Un caso pretestuoso, quello dei coniugi cristiani, come confermato più volte dai legali della Farrukh Said Foundation che li assistono. I messaggi di testo sono stati scritti in inglese, una lingua che nessuno dei due, praticamente analfabeti, conosce. A Shafqat, costretto da anni su una sedia a rotelle, la polizia ha estorto una confessione, minacciando di rifarsi sulla moglie se non avesse acconsentito.

La loro condanna a morte con la sentenza del 4 aprile 2014 è basata sulla dichiarazione della società telefonica che il messaggio è partito dal cellulare di Shagufta, nonostante non esistano una Sim o un telefono registrati a suo nome. Come in altri casi, hanno ribadito gli avvocati citati dall’agenzia Fides, «il giudice in primo grado ha ceduto alle pressioni islamiste e ha emesso la sentenza di morte» alla fine di un procedimento che ha avuto come sede il carcere per timore di azioni violente degli estremisti. Mentre si apre alla speranza la vicenda di Shafqat e Shagufta, una storia d’amore giovanile il 21 aprile è finita in tragedia, con un 18enne cristiano torturato e impiccato a un albero davanti alla propria abitazione nel distretto di Pir Mahal, sempre nel Punjab. Qaisar Masih era colpevole di essersi innamorato, ricambiato, di una musulmana. Il padre della ragazza ha deciso di farsi giustizia da sé coadiuvato da consanguinei. Un fatto brutale motivato anche dal contrasto opposto dai cristiani allo spaccio di droga tra i giovani, che ha avuto anche una chiara valenza discriminatoria.
Accanto al corpo di Qaisar, infatti, è stato lasciato un messaggio in cui si sfida chiunque a porre lo sguardo su donne musulmane. La conferma di questa circostanza, accentuata dalla precedente minaccia di volere cancellare una intera generazione di giovani cristiani dall’area e anche delle difficoltà della famiglia a far aprire un’indagine dalla polizia arrivano da The Voice Society, una Ong pachistana per i diritti umani. Se le donne musulmane sono intoccabili, così non è per quelle delle minoranze.

A conferma che nemmeno una istituzione temuta come l’Esercito riesce a allontanare la discriminazione o a intimidire i più violenti tra gli estremisti, nella notte 20 aprile, la moglie di un dipendente dell’apparato militare che per il suo lavoro vive per lunghi periodi a Peshawar, distante da casa, è stata violentata sotto la minaccia di armi da fuoco dai figli di un notabile locale di fede musulmana che nei giorni successivi ha intimidito testimoni e familiari della donna cercando di evitare una denuncia formale.

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