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mercoledì 9 marzo 2016

Siria: il ritorno dei cristiani tra le rovine di Homs "qui c'è la nostra anima"

La Repubblica
La città siriana, un tempo specchio del pluralismo religioso, è stata teatro dello scontro tra esercito e jihadisti. Ora i miliziani si sono ritirati e così centinaia di profughi sono rientrati. "Ora ricostruiremo chiese e quartieri".

Una donna porta oggetti nella sua casa a seguito del cessate il fuoco
tra i ribelli e le forze fedeli al presidente siriano Bashar Al Assad a Homs
Una fila chilometrica di case vuote allineate lungo una strada deserta. Nessun segno di vita, tranne due soldati seduti all'ombra di un gazebo di lamiera ondulata con i kalashnikov a riposo sulle gambe. Ecco il quartiere spettrale di Deir el Baalba, alle porte di Homs, dopo la fuga di migliaia di miliziani di Jabat al Nusra, i quali hanno preferito i lidi più sicuri di Idlib, tuttora in mano agli islamisti. Di contro, in quello che è stato il principale teatro dello scontro tra i jihadisti e l'esercito di Assad, in quella che era la culla di una delle più antiche comunità cristiane d'oriente, tornano poco a poco i profughi a far rivivere le loro case ridotte in macerie.
Ritirata strategica dei rivoltosi, da un lato, e lento ritorno dei rifugiati nelle case avite dalle quali erano stati costretti a scappare con l'avvicinarsi della guerra, dall'altro: questi i movimenti di folla che si osservano oggi a Homs, la ricca e raffinata città siriana crocevia di tutti i transiti e i traffici di uomini, merci, beni primari, servizi dalla costa mediterranea, libanese verso il Nord, ma anche specchio fedele del pluralismo religioso e dello spirito comunitario che fu di questo paese.
Forse anche per questo la guerra civile vi si è abbattuta con particolare accanimento, e tutt'ora la lambisce con la sua onda lunga sanguinosa. Dopo Deir al Baalba ecco l'obbiettivo della nuova strategia del terrore: Al Zaharaa (Piazza della Rosa), teatro di più di 30 attentati nell'ultimo anno e mezzo, l'ultimo dei quali, il 21 febbraio, ha visto un kamikaze alla guida di una macchina piena d'esplosivo che rimorchiava una seconda autobomba senza autista, come se fosse trainata per un guasto meccanico. Impatto devastante: 83 morti e decine di feriti. In gran parte tra gli alawiti, la setta eterodossa dello sciismo a cui appartengono i seguaci e la stessa famiglia Assad, e i cristiani armeni che popolano la zona. 

È questa violenza residua, questa ricerca disperata di una vendetta postuma da parte dei gruppi islamisti radicali che frena il ritorno dei duecentomila cristiani che abitavano il quartiere Bustan al Diwan (il giardino del Consiglio) sorto intorno alle antiche chiese cattoliche, armene e siriache, e ai santuari e conventi greco ortodossi che popolavano Homs e che per quasi un anno e mezzo, fino alla primavera del 2014, è stato il fortino assediato della ribellione armata contro il regime di Bashar el Assad.
Entriamo nella strada più famosa della zona, el Hamadiyeh, che dà il nome convenzionale a tutto il "quartiere cristiano" di Homs. La quantità di devastazioni dovute ai bombardamenti dell'esercito per stanare le postazioni dei ribelli è imponente. Il video recente registrato dall'occhio ineludibile di una telecamera montata su un drone ha fatto rivivere il dramma di una città che ha visto le sue parti più belle sottoposte a una selvaggia demolizione. Lungo El Hamadye non c'è un palazzo in piedi. 

Per trovare qualche angolo ancora accessibile bisogna entrare nelle traversa che conduce al santuario di Notre Dame de la Cynture. Qui, tra le macerie, si lavora alacremente per rimettere in sesto le case. È un tiepido pomeriggio domenicale, le funzioni sono finite. Agli angoli degli edifici, intorno ai vassoi con il caffè fumante appoggiati ad uno sgabello, siedono gruppi di cristiani tornati provvisoriamente, o per rimanerci più a lungo possibile nel loro quartiere.
I fratelli Aoun e Daoud, rispettivamente falegname e insegnante sulla settantina, sono andati via alla fine del 2012, per ritornare soltanto un anno fa. "Abbiamo trovato ospitalità da un nostro parente a Latakia, quando i terroristi si sono ritirati siamo tornati soltanto per vedere la nostra casa saccheggiata e distrutta. Non capisco - dice Daoud - perché il governo li ha lasciati andar via con le loro armi ". I due fratelli si sono messi a lavoro di buona lena, ma mi fanno notare che sono i soli ad aver messo mano alle riparazioni in un palazzetto di quattro piani con otto appartamenti. In effetti, sottolinea Abu Mahmud, il poliziotto di guarda alla chiesa di Notre Dame, "non credo che più del dieci per cento degli abitanti del quartiere sia tornato. Ma è già qualcosa".
Gina, una signora di mezz'età, è venuta dalla Svizzera per riunire di nuovo la famiglia, le due sorelle sposate che si erano rifugiate a Damasco, e le amiche di una vita con cui ha condiviso i giochi sulla strada, la scuola elementare delle suore ("il migliore istituto scolastico del paese") le prime uscite fuori dalla cerchia famigliare, ma sempre all'interno del quartiere, e i viaggi settimanali all'università di Damasco.
Nel convento di padre Frans Van der Lugt, il gesuita ucciso nell'aprile del 2014, un delitto mai rivendicato da nessun gruppo armato, sono tornati i giovani che rappresentavano la linfa vitale, il segno di una presenza perdurante, pacifica e creativa. Liliana, una ragazza di vent'anni, dalla bellezza naturale e senza forzature, ha girato con la famiglia per tre anni, dal 2012 al 2015 e descrive il dolore della lontananza da qui "come quello di una persona che sente la propria anima totalmente dipendente (addicted, dice) da un luogo".
Scendiamo lungo il suk, fino alla piazza del Vecchio Orologio, per immergerci in un panorama di macerie. Usciamo dal centro per raggiungere le barriere ancora abbassate di Baba Amr, il quartiere simbolo della rivolta, il primo sito toccato dalla guerra civile a guadagnare notorietà mondiale. Anche per il dramma di alcuni giornalisti, tra cui l'apprezzatissima Marie Kolvin, del Sunday Times, che vi morirono uccisi in un bombardamento dell'artiglieria siriana.
Il viale centrale che si allunga per 2 chilometri riassume la desolazione di questa guerra. Ma anche qui, nei vicoli dove un tempo vivevano 60mila persone, sono tornate 700 famiglie: nelle case che abitavano un tempo, o hanno trovato un buon affitto a prezzi bassissimi in una zona che non offre niente. Sono persone che vantano qualche connessione con l'esercito che controlla la zona: un parente volontario, un figlio richiamato sotto le armi. Ovvero, come Ahmed al Huleibi, funzionario della sanità pubblica, sposato, sei figli, non hanno paure di dire che "con la rivolta di Bab Amr non ho avuto niente a che fare".

di Alberto Stabile

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