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giovedì 15 ottobre 2015

L'Italia continua a spendere una marea di soldi per tenere in carcere i tossicodipendenti

Vice News
Negli ultimi tempi, tra le proposte di legge per la legalizzazione, la sentenza sull'illegittimità della Fini-Giovanardi e la crescente pressione della società civile, sembra che in Italia qualcosa si stia muovendo sul fronte delle politiche sulle droghe.



Per più di vent'anni, tuttavia, l'approccio in materia è stato puramente repressivo, senza che ci fossero troppe vie di scampo o possibilità di dialogo. Una "guerra alla droga" con dei costi ben precisi, che la Relazione del 2015 sullo stato delle tossicodipenze, presentata lo scorso settembre, ha stimato ufficialmente per la prima volta.

"La spesa per i detenuti droga [negli ultimi cinque anni] è stata particolarmente elevata," si legge nella relazione. "Le stime prodotte per gli anni dal 2008 al 2012 registrano una spesa media di 1,4 miliardi [all'anno], tradotta nello 0,08 per cento del PIL e una spesa media pro-capite di quasi 24 euro; la spesa più alta si è registrata nel 2008, di 1,5 miliardi."

Nel 2013, che è l'ultimo dato disponibile, lo Stato italiano ha speso poco più di un miliardo di euro per mantenere in carcere le 24.273 persone (circa un detenuto su tre) arrestate per aver violato la normativa anti-droga.

A questi dati si aggiunge anche la circostanza per cui quasi un terzo dei detenuti è considerato tossicodipendente dal sistema penitenziario. Come spiega a VICE News Susanna Marietti, coordinatrice nazionale dell'associazione Antigone, questo comporta in primo luogo "una crescita esponenziale del sovraffollamento carcerario," dal momento si tratta di "persone che potrebbero stare fuori ed essere gestite appunto dal sistema socio-sanitario, e non da quello penale e penitenziario. Il risultato inevitabile è quello di ingolfare un sistema che non è pensato per loro."

Una presenza così rilevante, prosegue Marietti, è dovuta principalmente a due motivi. "Il primo è la violazione della normativa sulle droghe, soprattutto prima della sentenza della Corte Costituzionale sulla Fini-Giovanardi, perché bastava molto poco per essere qualificato come spacciatore anche se eri un consumatore; la seconda ragione deriva dai reati connessi, come ad esempio le rapine commesse per reperire i soldi per gli stupefacenti."

Proprio a causa di questi numeri - e pur essendo in presenza di un lieve miglioramento - l'assistenza sanitaria in carcere non è del tutto adeguata.

"Il sistema penitenziario italiano è del tutto disomogeneo," dice la coordinatrice di Antigone, "e quindi molto è affidato alla buona volontà del singolo operatore. Tendenzialmente nelle carceri operano i Sert, i servizi per le tossicodipendenze, e ci sono servizi psicologici e di sostegno. Naturalmente non riescono a fare più di tanto, ma un minimo di presa in carico c'è."

Oltre che dalle associazioni, da sempre in prima linea su queste tematiche, qualche anno fa il problema era stato riconosciuto anche dal Sappe (Sindacato autonomo di di polizia penitenziaria) attraverso un comunicato in cui si affermava che "i detenuti tossicodipendenti sono persone che commettono reati in relazione allo stato di malattia, e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione."

Dati alla mano, insomma, trattare la tossicodipendenza da una prospettiva esclusivamente criminale non solo ha dei costi insostenibili, ma non risolve praticamente nulla.

Lo scorso febbraio, ad esempio, persino la Direzione Nazionale Antimafia aveva sottolineato"l'oggettiva inadeguatezza di ogni sforzo repressivo" contro lo spaccio e l'uso di droghe leggere, e contestualmente aveva invitato il parlamento a depenalizzare certe condotte per alleggerire il lavoro delle forze dell'ordine e svuotare le carceri.

Secondo Marietti il governo di Matteo Renzi, pur non remando esplicitamente contro, non sembra "aver dato la priorità a questi temi." L'auspicio, tuttavia, è che le autorità italiane tengano conto di un certo mutamente del clima globale sul fenomeno, e mettano in campo non solo "un'adesione di principio," ma "la capacità di mettere in campo delle strategie politiche complesse."

A questo proposito, sostiene la coordinatrice di Antigone, un'occasione sarebbe rappresentata dal cosidetto Ungass, la sessione speciale dell'Assemblea Generale delle Nazioni Unite prevista per l'aprile del 2016 e dedicata proprio alle politiche mondiali sulle droghe.

Nel 1998, l'ultima data in cui si tenne la sessione, il proposito dell'Onu era quello di "far sparire la droga dalla faccia del globo attraverso la repressione." A quanto pare però, dopo decenni di approcci puramente repressivi, questa volta potrebbe esserci "una rivoluzione nel modo di trattare le droghe."

"Fortunatamente, in questi vent'anni si è preso consapevolezza che non può essere questa la strategia," conclude Marietti, "perché le politiche repressive e penali non riescono a trattare un tema così complesso come quello della droga, che ha bisogno di politiche economiche, sanitarie, sociali."


Leonardo Bianchi

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