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mercoledì 18 febbraio 2015

Libia, Riccardi: non subire iniziativa mediatica, l'Isis desidera l'attacco militare da parte dei "crociati" occidentali per compattare i musulmani.

La Stampa
Lo storico della Chiesa, fondatore della Comunità di Sant'Egidio: «L'Isis desidera l'attacco militare da parte dei "crociati" occidentali per compattare i musulmani. Credo ci sia ancora spazio per una iniziativa politica»
«Non faccio il pacifista, ma lo storico che sa come certe guerre lascino il mondo peggiore. Dobbiamo ancora interrogarci sulle guerre in Medio Oriente, a partire da quella del 2003 contro Saddam, condotta senza aver riflettuto su che cosa fare dopo...». Il professor Andrea Riccardi, storico della Chiesa e fondatore della Comunità di Sant'Egidio, non auspica un intervento armato occidentale nella Libia dove lo Stato Islamico avanza.

Professore, come reagire di fronte alle minacce dell'Isis?
«I messaggi del Califfato sono minacciosi e pericolosi. Sono presentati in modo professionale, incutono terrore. Ma noi non dobbiamo subire la loro iniziativa politica e mediatica. Sarebbe un errore, a mio avviso, rispondere alla complessità con la semplificazione dell'armiamoci e partiamo...».

Perché è contrario all'intervento militare?
«In Libia non c'è solo il Califfato. La situazione è spappolata da tempo. Bisogna cercare di mettere insieme le componenti tribali e religiose del paese. L'inviato speciale dell'Onu Bernardino León ha fatto un buon lavoro. Credo sia il momento per una forte iniziativa europea, che cerchi di mettere d'accordo anche Turchia, Emirati Arabi, Qatar, Egitto e Algeria. Tra questi paesi ci sono differenze: l'Egitto di Al Sisi considera solo il governo di Tobruk e le armate del generale Haftar, ritenendo tutti gli altri terroristi, mentre la Turchia vuole dialogare con i Fratelli Musulmani e col governo di Tripoli. Ci vuole una ripresa di iniziativa politica attorno a una personalità autorevole: io avevo proposto Romano Prodi».

Qual è la responsabilità dei cristiani in Occidente di fronte a quanto accade?
«Come cristiani, sarei cauto a suonare i tamburi di guerra, magari nella speranza che un intervento armato possa ridare identità e pathos agli europei che tornano a scrivere la storia. Non abbiamo ancora fatto un bilancio delle guerre condotte nell'area: penso a quella contro Saddam del 2003, fatta senza pensare al dopo, e al caos che ha generato, nonostante vi fosse chi teorizzava che lo shock militare avrebbe fatto rinascere la democrazia. Le stesse domande mi faccio su Assad, dittatore che non amo, come pure su Gheddafi, che era pessimo, ma ora siamo caduti ancora più in basso».

Sono parole da pacifista...
«Non sono un pacifista, ma uno storico che sa come certe guerre lascino il mondo peggiore. La mia è la posizione non del pacifista ma del pacificatore che vuole cercare di mantenere in vita il tessuto sociale di un paese».

Oggi il Papa è tornato a parlare della vendita di armi ai paesi in guerra.
«Francesco fa bene a ricordarlo. Noi guardiamo alla guerra in modo troppo ideologico. C'è un substrato economico, ci sono ambizioni territoriali. La guerra è un demone, la violenza è una malattia. Con la guerra la povera gente perde mentre alcuni si arricchiscono. Mi preoccupano le conseguenze dei flussi di rifugiati e profughi, dei milioni di persone scappate dalla Siria che arrivano ai confini della Turchia, del Libano, della Giordania».

Che cos'è l'Isis, secondo lei?
«Bisogna innanzitutto dire che questo terrorismo totalitario non è l'islam ma ha rapporti con l'islam e vuole esercitare una egemonia sui musulmani. Riescono a diffondere lo stesso tipo di filmati dalla Siria alla Libia, sanno usare abilmente i media. Loro desiderano essere attaccati dai "crociati" occidentali, per compattare i musulmani. Poi c'è il mondo dei lupi solitari, dei giovani spaesati nelle grandi periferie delle città europee, che ritrovano un'identità nell'islam totalitario. Fatte le debite distinzioni, noi abbiamo conosciuto qualcosa di simile con l'attrattiva esercitata dal terrorismo brigatista sui certi giovani negli anni Settanta».

Come si risponde allora a questa minaccia?
«Mi chiedo se in questo momento una risposta "forte" sia una risposta "muscolare". Parlando di risposte militari, non credo che i caschi blu dell'Onu possano andare a pacificare la Libia. Come società civile, come governo e come Chiesa io credo che dobbiamo contare di più in Europa e chiedere all'Unione europea di impegnarsi di più, tenendo conto di tutta la vicenda dell'emigrazione. Mi preoccupa in questo momento anche la situazione del Libano, ancora senza presidente e con tanti rifugiati».

1 commento:

  1. INTELLIGENTE E LUNGIMIRANTE ANDREA RICCARDI...ha una esperienza notevole in tema di diritti umani, ed ha ragione quando dice che bisogna avere molta cautela nelle crociate di massa....

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