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venerdì 23 gennaio 2015

Immigrazione in Bulgaria tentativi di miglioramento dopo accertate violazioni dei diritti umani

East Journal
La Bulgaria, il paese più povero dell’Unione Europea, dal 2011 sta fronteggiando un crescente flusso migratorio. Si tratta di richiedenti asilo prevalentemente siriani, ma anche afghani e iracheni. Varcare il confine con la Turchia rappresenterebbe per molti il primo passo in Europa, non certo l’ultimo. Il benvenuto nel limbo burocratico europeo.
Da pochi giorni si è riacceso il dibattito istituzionale in un clima piuttosto animato. Il 2014 bulgaro si è concluso con la sostituzione del presidente dell’Agenzia di Stato per i rifugiati (SAR), in favore del precedente direttore Kazakov. Tchirpanliev sarebbe stato rimosso dal suo incarico a causa di commenti inappropriati. Avrebbe infatti comparato i siriani agli unni, definito i curdi “peggiori dei nostri zingari” e Amnesty Internationalun’associazione disonesta. Il governo non ha ancora diffuso però le motivazioni di questo atto, ribadendo che non si tratterebbe in alcun caso di una punizione. Si è inoltre dimesso il capo della polizia di frontiera, Zaharin Penov, a causa di un incidente di un autocarro della polizia di ritorno da operazioni al confine.

Il 5 gennaio, il vice primo ministro per le questioni europee Kuneva (Blocco riformista) ha convocato i ministri dell’Interno Vuchkov (GERB), della Difesa Nenchev (Blocco riformista), e dello Sviluppo Regionale Pavlova (GERB), per discutere le nuove misure da intraprendere in vista di un aumento delle richieste di protezione internazionale previste nei prossimi mesi a seguito dell’inasprimento del conflitto siriano e del terrore dell’Isis.

Richiesti quindi ulteriori perfezionamenti alla rete di sicurezza nazionale e ai centri di accoglienza e detenzione nel paese. Si considera necessaria l’estensione del transennamento, lungo già 32 km, che separa dal territorio turco. Nel 2013 il governo si era già trovato a dover attuare un piano di contenimento. Attraverso la costruzione di una recinzione nella regione di Elhovo e il dispiegamento di unità di polizia lungo il confine si è cercato di ostacolare l’immigrazione irregolare.

Il disaccordo politico verterebbe sulla concezione di difesa e salvaguardia dei confini nazionali. Asserendo che la pressione migratoria è aumentata di due terzi negli ultimi mesi (dati confermati dal SAR) il ministro dell’Interno Vuchkov ha proposto che il pattugliamento della zona di confine venga affidato alle truppe dell’esercito, non solo alla polizia di frontiera. A questa proposta si oppongono Kuneva e il Presidente Plevneliev. Contrario anche il ministro della Difesa Nenchev, secondo il quale mancherebbero le premesse legali per un’azione del genere. Vuchkov comunque smentisce il ricorso ad emendamenti speciali per permettere lo schieramento militare. Disincentivare l’arrivo dei migranti sembra ancora la soluzione e la priorità. Kuneva sollecita e spera in una maggior coordinazione tra le istituzioni locali e l’Europa. La preoccupazione è che la cattiva gestione del fenomeno possa compromettere l’entrata in Schengen.

Secondo i media bulgari, alcuni stati membri dell’Unione avrebbero recentemente richiesto il trasferimento in Bulgaria di circa 7.500 persone con status pendente di rifugiato. Si tratta di migranti che dopo aver fatto richiesta di asilo in Bulgaria hanno poi raggiunto altri paesi. Di questi, Sofia ne ha ufficialmente accettati 3.000. Secondo il regolamento di Dublino infatti spetta al primo paese d’arrivo l’incarico di registrazione della domanda di asilo e il compito di provvedere alla protezione e integrazione del migrante. Condizione che preoccupa fortemente i paesi di confine.

Sebbene le condizioni di gestione non siano delle più rosee, la comunità internazionale sembra disposta a concedere supporto organizzativo ed economico alla Bulgaria, apprezzandone i piccoli progressi degli ultimi anni, soprattutto per quanto riguarda i tempi di rilascio dei documenti. La Commissione europea ha da poco definito il paese pronto ad affrontare i nuovi flussi, con la possibilità in caso di emergenza di attingere al Fondo Asilo, Migrazione e Integrazione (AMIF). Viene inoltre prolungato per un ulteriore periodo di 18 mesi il piano di supporto speciale siglato con l’EASO (European Asylum Support Office), al quale Sofia aveva richiesto aiuto tecnico e operativo.

Le organizzazioni umanitarie sono decisamente meno ottimiste. Infatti vengono ancora drammaticamente perpetuati violenze e respingimenti illegali ai danni dei migranti. Secondo l‘UNHCR (Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati) le autorità bulgare dovrebbero compiere ulteriori sforzi e adattarsi urgentemente ai requisiti internazionali, nel pieno rispetto dei diritti dei migranti.

I richiedenti asilo in Bulgaria sono costantemente a rischio di detenzione arbitraria. L’accesso alla procedura d’asilo viene accordata solo dopo la registrazione della richiesta da parte del SAR. Operazione che subisce continui ritardi e rinvii. Paradossalmente, molti richiedenti asilo hanno rinunciato al sostegno materiale previsto pur di non prolungare i tempi di detenzione.

Nell’aprile scorso, sia Amnesty International che ECRE (European Council on Refugees and Exilees) avevano sollecitato gli altri stati membri a non trasferire i richiedenti asilo in Bulgaria, come invece previsto dal regolamento di Dublino, nell’attesa che la qualità delle condizioni d’accoglienza si stabilizzasse. 

Nello stesso periodo, Human Rights Watch denunciò le violenze e i respingimenti verso il territorio turco da parte della polizia di frontiera, esortando l’Unione Europea a fare pressione. La Commissione europea ha così aperto una procedura di infrazione contro i respingimenti dei profughi siriani attuati da Bulgaria (e Italia). L’UNHCR ha poi riconosciuto alcune migliorie del sistema e ha annullato l’appello alla sospensione dei trasferimenti.
Simona Mattone

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