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mercoledì 21 gennaio 2015

Cina - La silenziosa strage degli uiguri in fuga

La Stampa
La vita si fa sempre più difficile per la popolazione turcofona a maggioranza musulmana proveniente dalla regione cinese del Xinjiang. Cercano di raggiungere la Malaysia tramite il Vietnam, ma vengono decimati alle frontiere dagli agenti di Pechino.

Uccisi alla frontiera con il Vietnam due uiguri – popolazione turcofona a maggioranza musulmana proveniente dalla Cina occidentale, dalla regione del Xinjiang – a cui la polizia cinese ha sparato mentre cercavano di varcare illegalmente i confini del Paese
. Si tratta di una storia che comincia a ripetersi con triste frequenza nel sud-ovest cinese, che vede un numero crescente di uiguri del nord-ovest sobbarcarsi i mille pericoli di un viaggio in mano a trafficanti di persone e “teste di serpente” (il termine cinese di chi si fa carico di emigranti illegali) per cercare di raggiungere la Malaysia tramite il Vietnam, e lì chiedere protezione in quanto rifugiati o recarsi in Turchia. 

I rifugiati in Malaysia sono già diverse centinaia, al centro di un piccolo braccio di ferro fra il governo di Kuala Lumpur e quello di Pechino – quest’ultimo infatti chiede alla Malaysia di rimpatriare i fuggiaschi, ma in molti casi la Malaysia, sotto pressione da vari gruppi umanitari, tergiversa. 

Qualcosa di simile avviene da anni con il pellegrinaggio di numerosi giovani, monaci e famiglie intere che cercano di lasciare il Tibet per recarsi in India, desiderosi di un’educazione che segua i precetti buddhisti per i figli, vedere il Dalai Lama o semplicemente per sfuggire alla repressione politica e religiosa sull’altipiano – ma il fenomeno che vede gli uiguri tentare la via di fuga per sfuggire a repressione e controlli, di nuovo sia religiosi che politici, è invece più recente, e molto meno conosciuto.

Se i filmati amatoriali che riprendevano l’esercito cinese aprire il fuoco su un gruppo di monache che camminavano in mezzo alla neve attraversando le valli dell’Himalaya per andare in India hanno fatto il giro del mondo, infatti, sia gli uiguri stessi, che le loro difficoltà a lasciare legalmente la Cina, sono meno noti. 

Ma i paralleli fra le difficoltà incontrate dalle due popolazioni abbondano, e in tempi recenti la repressione nei confronti degli uiguri – in particolare dopo la violenta sommossa anti-cinese del 2009 che lasciò più di 200 persone senza vita – si è andata ulteriormente inasprendo. Rendendo più folti dunque i ranghi di chi cerca di scappare, in modo legale o meno. Infatti, il regime di liberalizzazione per l’ottenimento di un documento di viaggio di cui gode ormai la grande maggioranza dei cinesi non si applica a chi è uiguro – anche per recarsi al pellegrinaggio alla Mecca questi devono sottostare a controlli e soddisfare requisiti molto più stringenti di quelli necessari per compiere lo stesso pellegrinaggio all’altro importante gruppo musulmano cinese, gli Hui, che, contrariamente agli uiguri, non hanno però rivendicazioni territoriali. In mancanza di passaporto, dunque, ecco entrare in ballo i trafficanti – proprio la settimana scorsa, Pechino dice di aver sgominato una banda di trafficanti cinesi e turchi, arrestando 352 persone coinvolte nel vendere falsi passaporti e aiutare gli uiguri (dai tratti somatici mediterranei) a raggiungere la Turchia. Nel corso della stessa operazione, altre 853 uiguri sarebbero invece state arrestate per aver cercato di attraversare la frontiera illegalmente.

La sparatoria di cui si è avuta notizia oggi è avvenuta domenica sera, ed ha avuto luogo quando un camion con cinque uiguri al suo interno non ha risposto alla richiesta della polizia di fermarsi per ispezioni. Secondo quanto riportato dai media cinesi due uiguri avrebbero combattuto al coltello contro la polizia, che ha sparato uccidendoli, altri due sono stati catturati e uno invece è riuscito a scappare.
Ilaria Maria Sala

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