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sabato 20 settembre 2014

Myanmar - Arcivescovo di Yangon: tratta di essere umani, “inferno che copre di vergogna il paese"

AsiaNews
Duro intervento di mons. Charles Bo contro questa forma moderna di schiavismo, diffusa in particolare nel Sud-est asiatico. La dittatura birmana ha generato una “nazione dell’esodo” e anche l’attuale governo mostra “indifferenza”. Pesanti accuse alla Cina e alla politica del figlio unico, alla base di un “abominevole” traffico.
Yangon - La tratta di esseri umani è un "inferno virtuale" che "copre di vergogna" il Myanmar, anch'esso coinvolto in un fenomeno che coinvolge milioni di persone in tutto il mondo. È quanto denuncia in una accorata lettera-appello, diffusa il 13 settembre scorso, mons. Charles Bo, arcivescovo di Yangon. Il presule è da tempo attivo nella difesa dei diritti umani, dell'unità e della libertà religiosa nella ex Birmania, teatro ancora oggi di violenze e abusi verso minoranze e dissenso interno. 

Egli si rivolge al governo chiedendo di interrompere questa nuova forma di moderno schiavismo, che colpisce in modo particolare le donne che vengono sfruttate non solo per lavoro, ma anche con finalità sessuali. Ed è proprio il Sud-est asiatico, avverte, l'area dell mondo "in cui risiede la parte più povera e vulnerabile".

Per mons. Bo la regione ha "perduto la propria dignità" a causa dei "baroni della droga, che manipolano con cinismo i governi", oltre che i sistemi messi in campo per "guadagnare il maggior denaro possibile" con mezzi illeciti. Un problema che riguarda soprattutto Cambogia, Laos e Myanmar. Paese che il presule chiama "la nazione dell'esodo", fenomeno dovuto a "catastrofi provocate dall'uomo", prima fra tutte i 60 anni "di una dittatura senza pietà" che ha causato "sotto-sviluppo".

"Quanti praticano la tratta di essere umani - accusa mons. Bo - hanno molto da guadagnare nel traffico di giovani birmane innocenti", che vengono vendute "come mercanzia". Molti altri, donne e uomini, finiscono per "morire all'interno dei container", durante tentativi non riusciti di "emigrazione clandestina".

Il prelato rilancia la denuncia di Ong internazionali, che accusano di "indifferenza" il governo, se non addirittura di "connivenza" in certi suoi elementi, con la rete di trafficanti che finiscono per veicolare giovani "alla pratica del lavoro forzato". "Quello che più ci rattrista - aggiunge - è l'assenza totale di lotta contro il fenomeno. E la rete dei trafficanti cresce sempre più florida". Non mancano poi riferimenti ai protagonisti della guerra civile negli Stati abitati da minoranze etniche, sia sul fronte governativo che fra le miliziani, accusati di "non aver fatto nulla per proteggere le figlie del Myanmar". "Gli uomini sono stati sottomessi alla stregua di schiavi - afferma mons. Bo - e le donne esposte ad abusi sessuali".

A fronte di uno sviluppo economico e sociale del recente periodo, per il prelato è evidente una crescita di un capitalismo di tipo "clientelare" che "arricchisce i ricchi e impoverisce ancor più quanti sono già poveri". Egli denuncia anche il fenomeno della confisca progressiva dei terreni e la perdita sempre più marcata di diritti. Comunità, istituzioni e gruppi religiosi devono "sensibilizzare" la popolazione "riguardo a questi problemi e fare campagna", contando sulla "collaborazione del governo".

Da ultimo, egli lancia un'accusa precisa alla Cina e alla sua nefasta politica del figlio unico, che ha causato gravi danni non solo in patria. Milioni di uomini si ritrovano senza donne, sottolinea mons. Bo, e senza alcuna prospettiva di vita coniugale e per questo è nato uno dei più "abominevoli" traffici di essere umani "registrato su questa terra negli ultimi anni". Fate di questo Paese una opportunità "non solo per i ricchi, ma per tutti", conclude l'arcivescovo di Yangon, che augura "una nuova epoca di libertà" con "l'abolizione totale" di "ogni forma di schiavitù".

di Francis Khoo Thwe

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