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domenica 14 settembre 2014

Iran: ragazze arrestate per aver provato ad assistere a un incontro di pallavolo maschile

Corriere della Sera
Arrestata con un gruppo di ragazze per aver provato ad assistere a un incontro di pallavolo maschile, sfidando il divieto per le donne. È successo a Teheran, il 20 giugno. Ghoncheh Ghavami, 25 anni, è cittadina britannica: ora la sua famiglia ha rotto il silenzio.
Questa volta non sono migliaia come il 29 novembre 1997, quando l'Iran impazzì di gioia per le qualificazioni ai Mondiali di calcio, e un fiume di donne sfidò i divieti ed entrò nello stadio di Teheran, mischiandosi agli uomini per festeggiare gli atleti. Questa volta sono solo una dozzina, e a loro non è andata bene come alle protagoniste dell'ormai mitica (e mai eguagliata) "Rivoluzione del calcio".

Il 20 giugno scorso un gruppetto di donne aveva cercato di entrare allo stadio Azadi (che significa libertà), dove la fortissima nazionale maschile di volley giocava contro l'Italia una partita della World League (poi vinta dai padroni di casa: 3-0). Qualcuno sostiene che le ragazze stessero partecipando all'ennesima protesta organizzata contro la proibizione di entrare negli stadi imposta alle donne dopo la vittoria di Khomeini, nel 1979,un divieto solo occasionalmente annullato dalle autorità. La passione per gli sport nazionali contagia da sempre entrambi in sessi in Iran e a quella femminile, che si unisce ormai alla battaglia per i diritti, il regista "dissidente" Jafar Panahi ha perfino dedicato un film, Offside.

Ma non cambia molto come siano andate davvero le cose. Il risultato è che il 20 giugno le ragazze sono state fermate. La notizia è circolata nella Repubblica Islamica, dove arresti come questi sono però frequenti se non quotidiani.

Il mondo l'ha invece quasi ignorata, per lo stesso motivo e perché la sua attenzione è rivolta ora al conflitto in Siria e Iraq, in cui Teheran ha per altro un suo ruolo. Fino a ieri: una delle ragazze arrestate, Ghoncheh Ghavami, è anche cittadina britannica e la famiglia, dopo aver mantenuto il silenzio sperando in un suo imminente rilascio, ha deciso di uscire allo scoperto, di far scoppiare il caso.

"Aiutatemi a riportare a casa mia sorella", è l'appello che ha lanciato Amin Ghavami, 28 anni, sui social media e tramite le organizzazioni per i diritti umani, mentre Amnesty International annunciava che Ghoncheh va considerata una prigioniera di coscienza. "Ha 25 anni e studia legge all'Università di Londra, si trovava in Iran da due mesi per insegnare a leggere ai bambini di strada.

Pensava che le donne potessero entrare allo stadio per le partite di volley, il Paese aderisce alla Federazione internazionale e sui giornali si diceva per volere del presidente le donne erano ammesse, mia madre e mia padre le avevano dato il permesso. Invece l'hanno arrestata e tenuta in isolamento per 41 giorni durante i quali il suo avvocato non ha potuto incontrarla nè avere accesso al suo dossier.

Siamo disperati, e non solo io e i nostri genitori, ma i nonni, gli zii, tutti quanti". "Carissima Ghoncheh, i giorni senza di te sono intollerabili e sono già 74 da quando siamo stati privati del tuo viso radioso, per un crimine che non riusciamo a capire - ha scritto su Facebook in una lettera aperta la madre Soosan.

Tuo padre è invecchiato di colpo. Io, ogni mattina arrivo ai cancelli del carcere di Evin e mi cacciano via, senza darmi risposte. Se ancora resisto è per la speranza di udire presto le tue risate squillanti. Possibile che nessuno debba rendere conto del dolore di una madre?". Ghoncheh, ha raccontato la famiglia, era stata in un primo tempo rilasciata.

Ma il 30 giugno agenti in borghese avevano fatto irruzione nel suo appartamento, sequestrato gli abiti e il computer, trascinandola quindi a Evin, il più tristemente noto carcere della capitale dove tantissimi "dissidenti" sono stati detenuti, e tanti giustiziati.

Poi il lungo isolamento, i continui interrogatori. Ora la giovane è in cella con altre carcerate e il suo arresto è stato prolungato di 60 giorni. La madre e la zia hanno potuto incontrarla brevemente una volta, ma nessuno ha capito esattamente il reato che le viene imputato. "Propaganda contro lo Stato" è il vago termine usato per giustificare la detenzione.

di Cecilia Zecchinelli

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