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lunedì 2 giugno 2014

Torino "ll Sestante" Psichiatria in carcere: sarà la risposta alla chiusura degli OPG?

La Stampa
E’ un pomeriggio come tanti altri, forse solo un po’ più tranquillo, nel reparto d’osservazione psichiatrica «Il Sestante», nel carcere di Torino. Alcuni detenuti gironzolano, fumano, rientrano indolenti in cella, altri invece sono riuniti in biblioteca, una saletta stretta e luminosa con uno scaffale pieno di libri. Non si sentono urla, nemmeno dalla sezione di 23 celle singole con bagno a vista dove stanno i detenuti con un disagio psichico più acuto, ancora in fase di scompenso. 

Osservati speciali
«Loro li dobbiamo monitorare 24 ore su 24. Basta un secondo perché succeda qualcosa», spiega l’assistente responsabile Alessandro Colangelo da una stanzetta tappezzata di schermi su cui appaiono in bianco e nero i detenuti ripresi dalle telecamere. «Qui arrivano persone che hanno ogni tipo di disturbo psichico. Con ognuno di loro bisogna lavorare in modo diverso». 

Colangelo è uno dei diciotto agenti di polizia penitenziaria specializzati del Sestante. Ne ha - letteralmente - aperto le porte nel 2002, quando dalla collaborazione tra la Casa Circondariale Lorusso e Cutugno e il dipartimento di Salute Mentale Maccacaro dell’Asl To2 è nato il progetto per trasformare la preesistente «sezione degli agitati» nell’attuale reparto psichiatrico a due sezioni, una d’osservazione e una di trattamento. 
Personale specializzato 
«Doveva servire a favorire la specializzazione dell’attività psichiatrica in carcere, diventata sempre più necessaria negli ultimi vent’anni con l’aumentare di problemi sociali che lo hanno trasformato in un contenitore per tanti tipi di patologie», spiega il dottor Elvezio Pirfo, direttore del Dipartimento Salute Mentale dell’Asl To2 e ideatore del progetto insieme all’allora direttore del carcere Pietro Buffa. «Se il numero degli internati nei sei ospedali psichiatrici giudiziari al momento oscilla tra gli 800 e i 900, quello dei detenuti con disturbi psichici è almeno 10 volte superiore», puntualizza. 

Mentre gli internati arrivano in Opg dopo un percorso, i detenuti entrano in carcere da un giorno all’altro. Ma possono essere comunque pazienti psichiatrici. E molti di loro passano da qui. «Non abbiamo solo i nostri pazienti, ma anche quelli degli altri istituti di pena», aggiunge l’educatrice Simona Botto. Con un’équipe di quindici fra psichiatri, psicologi, infermieri ed educatori presenti dal lunedì al sabato, e con dieci delle 23 celle singole – il più alto numero in Italia – destinate a detenuti inviati dal ministero per un accertamento della condizione psichica, il reparto è unico nel suo genere. Oltre ai detenuti interni in fase di scompenso arrivano in osservazione anche quelli con un’assegnazione temporanea da altri istituti, in media 150 l’anno.
Da altri istituti di pena 
La permanenza di chi arriva da altri istituti ha un limite di 30 giorni, poi possono passare in sezione di trattamento con sedici celle doppie per la terapia e la riabilitazione, o tornare al carcere di provenienza o essere mandati in Opg, qualora la loro infermità psichica sia decretata incompatibile con il regime carcerario. I detenuti in assegnazione temporanea al carcere di Torino invece arrivano in sezione comune e possono anche aspettare lì il «miglioramento del quadro clinico», la loro unica scadenza. 

I «nuovi giunti» 
«La sofferenza psichica dei nuovi giunti talvolta è dovuta solo a una difficoltà di adattamento in altre carceri. Non tutti hanno bisogno di diagnosi e cure specifiche, ma giungono comunque alle Vallette», spiega la psichiatra Carlotta Berra. E la loro presenza finisce per creare una maggiore fatica anche nelle altre sezioni: «I detenuti spesso si lamentano dicendo che se non ci fosse il Sestante non ci sarebbero quelli che disturbano».

Con l’avvicinarsi – almeno in termini legislativi – del loro superamento, previsto per l’aprile 2015, è grande il timore che reparti come il Sestante finiscano a rimpiazzare gli Opg nella funzione di contenitori per qualsiasi situazione a cavallo fra l’ambito psichiatrico e quello detentivo. «Si è già presa l’abitudine di assegnare a noi persone la cui capacità di intendere e volere è ancora in fase di giudizio», osserva la psichiatra. E la zona grigia non può che estendersi: «Con un minor numero di posti nelle “Residenze per esecuzione di misure di sicurezza”, il flusso d’uscita dal carcere per i detenuti sarà rallentato e il Sestante rischia di essere visto come un’alternativa».

«Se un paziente è ritenuto colpevole di reato deve avere la possibilità di scontare la pena con la stessa dignità di una persona normale, e se sta male all’interno del carcere deve poter essere curato in un reparto come il Sestante», dice Sara Cassin, presidente della Federazione delle strutture comunitarie psico-socio-terapeutiche: «Chi invece è dichiarato non imputabile non deve essere detenuto, ma contenuto in una struttura di tipo sanitario».

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