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venerdì 10 gennaio 2014

Siria: l'orrore nelle prigioni di al Qaida, detenuti raccontano torture e uccisioni

Ansa
Torture, uccisioni indiscriminate, maltrattamenti come, se non peggio, di quelle che denunciano di aver subito per decenni dal regime di Damasco: decine di civili e ribelli siriani hanno raccontato nelle ultime ore l'orrore della loro prigionia nelle carceri di al Qaida ad Aleppo, nel nord del Paese. 


Da giorni i miliziani qaedisti dello Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis) sono sotto attacco nelle regioni di Idlib, Aleppo, Raqqa e Dayr az Zor da parte di un inedito fronte di ribelli nazionalisti e altri islamici. 

Nel corso di questi scontri, alcune 'prigioni dell'Isis sono state conquistate dagli insorti e i detenuti liberati. Secondo fonti dell'opposizione siriana, prima della recente offensiva anti al Qaida, erano circa 1.500 i prigionieri nelle carceri dell'Isis. Diverse testimonianze registrate da giornalisti locali e pubblicate su Internet riferiscono di minori torturati "con gli stessi mezzi con cui il regime aveva torturato nel febbraio 2011 alcuni ragazzini a Daraa", colpevoli di aver scritto frasi anti-regime sui muri della loro scuola e a cui erano state strappate le unghie dalle dita.

Quell'episodio aveva scatenato allora la rabbia dei clan della regione meridionale dando vita a una rivolta popolare in poco tempo allargatasi anche a Homs e ad altre località siriane ostili al regime. "Gli hanno strappato le unghie una a una e lo hanno fatto confessare di aver violentato tre donne. Aveva solo 15 anni", si racconta in uno dei video apparsi nelle ultime ore. La prigione è quella di al Qaida a Qadi Askar, quartiere centro-orientale di Aleppo. Milad Shihab afferma di esser rimasto tredici giorni bendato e in isolamento in una cella stretta un metro per un metro. "Tu, cane, volevi una rivoluzione?", è la frase spesso urlata ai prigionieri sdraiati a terra e "calpestati con il tacco degli stivali militari". Una frase analoga - affermano gli attivisti - ("è questa la rivoluzione che volevi?") è usata dai miliziani del regime contro i civili arrestati. "Siamo arrivati al punto di sperare che la prigione venisse bombardata dal regime... almeno avrebbero smesso di torturarci", afferma Shihab. Altri superstiti usciti dall'inferno di Qadi Askar raccontano che molti detenuti erano ribelli dei gruppi anti-regime, tra cui appartenenti a formazioni islamiche radicali e che spesso questi prigionieri sono atti uccisi in carcere. "Li hanno uccisi brigata per brigata. Avrebbero proseguito fino a quando tutto il Paese non fosse stato sotto il loro controllo".

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