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giovedì 31 ottobre 2013

Iran: "Io, dimenticata in cella perché sono bahai", minoranze religiose discriminate

La Stampa
"Taraneh fiore mio, avevi 13 anni quando fui costretta ad abbandonarti". Fariba Kamalabadi, ha 51 anni, occhi scuri e melanconici, tre figli adolescenti e una condanna a vent'anni. Dopo cinque anni di comunicazioni censurate e colloqui sorvegliati, una preziosa, unica lettera alla figlia è riuscita a sfuggire ai controlli, affidata a una compagna di carcere liberata. "Taraneh fiore mio, alle sei del mattino eri pronta col grembiule per andare a scuola.

Gli agenti fecero irruzione in casa nostra e mi portarono via con loro". Fariba Kamalabadi dovrà stare nel carcere di massima sicurezza di Teheran fino al 2028 per spionaggio, vilipendio alla religione e propaganda contro la Repubblica islamica dell'Iran. In una parola: deve stare in carcere perché è bahai. Lei, con gli altri sei membri del gruppo Yaran ("Amici"), sono stati rinchiusi, senza un solo giorno di permesso, perché la loro religione richiama l'uguaglianza dei sessi, la compatibilità tra scienza e religione, e la relatività della verità (compresa la verità religiosa). Soprattutto, la fede bahai prevede la scissione tra Stato e Chiesa. Che nella Repubblica islamica è già una contraddizione in termini. I bahai - se dichiarano la propria fede religiosa - sono ostracizzati: non possono studiare, lavorare per lo Stato e né dove sia previsto il contatto con il pubblico, dagli ospedali ai ristoranti. Sono impuri. Nonostante le aperture del nuovo presidente iraniano Rohani nei confronti delle minoranze i cambiamenti sembrano ancora da venire. Solo qualche giorno fa il relatore per i diritti umani in Iran diceva all'Onu che "la situazione dei diritti umani nella Repubblica islamica dell'Iran continua a creare serie preoccupazioni e non dà segni di miglioramento - ha spiegato Ahmed Shaheed. Continuano le discriminazione contro le donne e le minoranze etniche, e non si attenuano i limiti imposti alla libertà di espressione e associazione". Non solo: "Le minoranze religiose, come i bahai, i cristiani, i musulmani sunniti sono sempre più soggette a varie forme di discriminazione legale, come nell'impiego e nell'educazione, e sono spesso sottoposte a detenzioni, torture e maltrattamenti arbitrari".

Scrive ancora Fariba Kamalabadi: "33 anni fa, a seguito della rivoluzione culturale, fui privata dell'accesso all'università a causa della mia appartenenza religiosa. Da quell'anno tutti i giovani bahai sono stati privati di questo loro diritto. Quest'anno, con l'avvento del nuovo governo e nuovo clima politico con promesse allettanti sui diritti per tutti i cittadini, noi speravamo che tu potessi continuare a studiare in patria". Non è stato così, la figlia di Fariba, come tante altre iraniane, per studiare ha solo una strada: abbandonare il Paese. Come Darya, 21 anni, "scappata" in Italia - dove c'è una forte comunità bahai - per poter frequentare l'università. "In Iran ti lasciano vivere, e ti deve bastare. Se vuoi studiare non puoi. Ti fanno fare il test d'ingresso all'università, ma devi dichiarare la tua religione. Se sei bahai sei fuori. In Iran i giovani non possono decidere di essere quello che vogliono essere". Darya è venuta in Italia con Fatemeh, la sua migliore amica, musulmana: "Non ho paura, anche se dovrei - dice. Sto solo studiando all'estero con un'amica. Penso che le differenze religiose non contino e che la vita, per i giovani dell'Iran, dovrebbe essere più facile".
di Monica Perosino

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