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lunedì 7 ottobre 2013

India - Orissa, carcere a vita a 7 cristiani innocenti

Avvenire
Dopo il riconoscimento da parte dei giudici della loro colpevolezza il 30 settembre, ieri il tribunale di Phulbani ha condannato all’ergastolo sette abitanti di fede cristiana del distretto di Kandhamal. Con Duryodhan Suna Majhi, Munda Bada Majhi, Sanatan Bada Majhi, Garnatha Chalanseth, Bijay Kumar Samseth, Bhaskar Suna Majhi e Budhadev Nayak, è stato condannato anche Pulari Rama Rao alias Uday, un comandante guerrigliero dichiarato colpevole martedì. Paradossalmente sono gli unici responsabili delle violenze anticristiane che hanno colpito lo Stato indiano di Orissa nell’agosto 2008.
Alla carcerazione a vita, il giudice distrettuale Rajendra Kumar Tosh ha aggiunto una multa equivalente a 120 euro per ciascuno dei condannati. Gli otto, secondo i giudici, sarebbero stati parte di un gruppo più numeroso che la notte del 23 agosto 2008 assalì l’ashram di Laxmanananda Saraswati, leader estremista indù con atteggiamenti da maestro spirituale, uccidendolo assieme a quattro suoi collaboratori. Gli omicidi, di cui da subito i guerriglieri maoisti si auto-accusarono, vennero addebitati ai cristiani della regione e utilizzati come pretesto per avviare, dal 25 agosto, una campagna – che i dibattimenti hanno indicato come «preordinata» – di persecuzione e di espulsione delle comunità di battezzati, quasi tutti di origine tribale o dalit (bassa casta o fuoricasta).

Il pubblico ministero aveva chiesto la pena di morte, dopo che – secondo l’accusa – 32 testimonianze e altre prove avrebbero dimostrato che gli otto hanno ucciso Saraswati e i suoi discepoli come ritorsione per la sua campagna di riconversione all’induismo dei cristiani locali.

Una decisione sconcertante, quella del giudice, intanto perché implica che a segnare la sorte di un gran numero di cristiani sarebbero stati loro correligionari, e in secondo luogo perché non tiene conto delle ripetute affermazioni di colpevolezza dei ribelli maoisti che avrebbero colpito Laxmananda Saraswati perché favoriva l’oppressione delle caste superiori e di vasti interessi economici sulla popolazione tribale e dalit in parte convertita a cristianesimo.

Immediata la reazione di monsignor Raphael Cheenath, l’ex arcivescovo di Cuttack-Bhubaneshwar sotto la cui giurisdizione ricade il Kandhamal, che ha dichiarato: «Ci appelleremo all’Alta corte contro questo verdetto ingiusto e inaccettabile». «I maoisti – ha sottolineato il presule ad AsiaNews – hanno rivendicato due volte la loro responsabilità per l’omicidio dello swami Laxamanananda e dei suoi quattro seguaci».

Contattato da AsiaNews, Sajan George, presidente del Global Council of Indian Christians, indica come i giudici «siano in combutta con le forze ultra-nazionaliste indù e di proposito hanno rimandato udienze e processi in modo regolare. Siamo tutti d’accordo che il principio fondamentale di una democrazia è dare uguale protezione e giustizia in base alla legge: nel nostro caso questi sette uomini non sono stati giudicati secondo tale principio».

Dopo la condanna in primo grado, sacerdoti e attivisti della società civile in Orissa hanno promosso una campagna per la giustizia e i vescovi indiani sostengono tali sforzi, come riferito all’agenzia Fides da padre Charles Irudayam, segretario della Commissione Giustizia e Pace della Conferenza episcopale cattolica. «Prima di tutto – nota – vogliamo ribadire che i sette cristiani sono innocenti. Lo stesso tribunale che li ha condannati, il giorno dopo la sentenza ha condannato un leader maoista per il delitto di cui sono stati accusati: questo li scagiona definitivamente. 
La condanna – conclude padre Irudayam – è paradossale: in Orissa i cristiani sono tuttora vittime, non certo assassini, e molti di loro ancora attendono giustizia per le violenze subite».

Stefano Vecchia

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