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martedì 2 luglio 2013

Libia. Problemi per la chiusura del campo profughi in Tunisia

Rinascita
Problemi per la chiusura, annunciata mesi fa, del campo profughi di Choucha, nel sud della Tunisia a pochi chilometri dalla frontiera libica, dove alcune centinaia di rifugiati ancora si rifiutano di lasciare campo. 
A marzo scorso l’agenzia Onu per i rifugiati (Unhcr) aveva stabilito che la struttura sarebbe stata chiusa alla fine di giugno. Così domenica scorsa il campo è stato privato di acqua ed elettricità e gli agenti di polizia hanno cercato di smantellare le tende, incontrando però l’opposizione dei quasi 700 ospiti che ancora vivono lì. 

Si tratta per lo più di persone provenienti dall’Africa sub-sahariana, ma anche dalla Palestina e dall’Iraq, che non sono riuscite ad ottenere asilo in nessun Paese occidentale e contestano il programma di integrazione locale proposto (imposto, accusano loro) dal governo tunisino. “Non vogliamo essere integrati in Tunisia, che non ha una legge che protegge i rifugiati”, ha dichiarato all’Afp Khaled Moujib, un palestinese che vive a Camp Choucha e denuncia: “Siamo tenuti in ostaggio dalle autorità tunisine, che si rifiutano di legalizzare la nostra situazione”. 

Mussa Ibrahim, un ciadiano sentito dal Libya Herald, riferisce che il ministero per gli Affari sociali tunisino ha cominciato a prendere le impronte digitali ai rifugiati, su base volontaria, per concedere un permesso di residenza temporaneo della durata di sei mesi. “Questo dovrebbe garantirci la libertà di movimento in Tunisia”, spiega Ibrahim, sottolineando che “fino ad allora non possiamo lasciare il campo”. Ibrahim ha confermato la chiusura della fornitura d’acqua che ha costretto gli abitanti del campo a rifornirsi nella zona della vicina Ben Guardane. 

Dall’Unhcr spiegano che è tempo di dare ai rifugiati “una forma più appropriata di vita, al di là delle condizioni di vita del campo”. Tuttavia in molti hanno protestato contro questa decisione. “L’Onu dice che devono chiudere [il campo] per motivi amministrativi, ma in realtà lo fanno solo per la risonanza mediatica”, accusa Ibrahim. “Noi ci rifiutiamo di andarcene, e anche se le autorità tunisine verranno a buttarci giù le tende, noi dormire sotto le stelle”, dichiara all’Afp Mohammed Taher, un sudanese di 33 anni, che accusa il governo di Tunisi di non aver mantenuto molte delle promesse fatte ai residente di Choucha. 

Dei quasi 700 rifugiati, circa 250 stanno aspettando di essere mandati negli Stati Uniti. Mentre ad altrettanti è stato offerta una sistemazione nelle città tunisine. Tuttavia alcuni di quelli che erano andati nella città di Madenine sono tornati a stare al campo, denunciando discriminazioni e maltrattamenti da parte dei tunisini. Da quando è stato attivato nel 2011, all’inizio della guerra in Libia, il Camp Choucha ha accolto decine di migliaia di persone, soprattutto africani provenienti da Ciad, Mali, Niger e Somalia, che lavoravano in Libia ma sono dovuti scappare a causa degli scontri e della cattiva nomea dei “neri”, accusati indistintamente di essere sostenitori (o peggio, mercenari) di Gheddafi. 

Teoricamente si tratta di un campo di transito, utilizzato dall’Unhcr per smistare gli arrivi e organizzare il rimpatrio o la partenza verso Paesi disposti a concedere asilo ai richiedenti. Tuttavia, a causa del grande afflusso e delle difficoltà burocratiche, il campo si è ben presto saturato, arrivando ad accogliere anche 50mila persone, distribuite tra l’immensa tendopoli dell’Onu e i campi più piccoli della Croce rossa e degli Emirati Arabi Uniti. 

La chiusura del campo da parte dell’Onu è stata criticata dalle organizzazione umanitarie tunisine. Nelle scorse settimane sono state organizzate diverse proteste, anche davanti la sede dell’Unhcr a Tunisi, e alcuni rifugiati hanno organizzato uno sciopero della fame.

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