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mercoledì 19 giugno 2013

Pakistan - Asia Bibi - Condannata a morte perché cattolica dopo 4 anni trasferita in un carcere più lontano


Avvenire
Oggi ricorre il quarto anniversario dell’arresto in Pakistan di Asia Bibi, senza che vi sia all’orizzonte alcuna schiarita riguardo alla sua situazione. Al contrario. In un giorno imprecisato, ma tuttavia successivo al 6 giugno, quando ha ricevuto per l’ultima volta la visita degli avvocati, Asia Bibi è stata trasferita dal carcere generale di Sheikhupura a quello femminile di Multan, distante sei ore di auto.

Lo ha comunicato il suo collegio di difesa, che ha cercato di incontrarla in questi giorni, precisando che avvocati e familiari vedono in questa iniziativa un ulteriore elemento di incertezza nella lunga e dolorosa vicenda della donna e che ne auspicano un ritorno a Sheikhupura, più vicino al luogo d’origine e ai propri cari.

Oggi, a 1.462 giorni dalla sua incarcerazione, la vicenda della cattolica arrestata con l’accusa di blasfemia, successivamente condannata a morte in prima istanza, e da 19 mesi in attesa del processo d’appello, si proietta non verso una liberazione da molti auspicata nel Paese e chiesta con forza anche da organizzazioni e governi stranieri, incluso quello italiano e la Santa Sede, ma verso un ulteriore capitolo di detenzione.
La possibilità di un trasferimento a Multan, seconda città come popolazione del Punjab, provincia dove si è svolta finora la vicenda giudiziaria e carceraria della donna, era emersa già da un rapporto dei servizi segreti pachistani divulgato l’11 gennaio 2011 dal quotidiano pachistano Express Tribune.

Allora, la motivazione riguardava soprattutto la sua sicurezza. Il trasferimento avrebbe dovuto garantirle, secondo le spiegazioni circolate allora, minori rischi, tuttavia la possibilità del provvedimento, successivamente riemersa più volte, aveva sollevato perplessità e preoccupazione per l’incolumità di Asia Bibi durante la traduzione a Multan.

Se questi rischi sono stati evitati, la nuova collocazione non potrà che aggravare il già precario stato di salute della donna e il dolore suo e dei familiari per l’impossibilità di incontri frequenti. Le visite, infatti, abitualmente accompagnate da avvocati difensori, dovranno necessariamente diradarsi, data la maggiore distanza e i costi aggiuntivi del viaggio.

Due giorni fa, i responsabili di una Ong che segue il caso hanno potuto visitare Asia Bibi nel nuovo carcere. Tra le varie cose, hanno manifestato preoccupazione perché alla donna non viene più fornito cibo crudo da cucinare, precauzione usata nella precedente struttura per evitare qualsiasi rischio di avvelenamento, ma riceve i pasti di tutte le altre detenute.

Come ricorda Paul Bhatti, ex ministro per l’Armonia religiosa, «non necessariamente il trasferimento può essere negativo, se fatto per garantire maggiore sicurezza e adeguati servizi. Anche il fatto che la notizia non sia stata resa pubblica non è straordinaria in sé, pure se acquista rilevanza per Asia Bibi, trattandosi di un caso noto».

«I parenti dono essere informati, ma normalmente non vengono spiegate le ragioni del trasferimento», ricorda il cattolico Bhatti, che dopo l’esperienza nel passato governo è ora impegnato attivamente nell’Associazione per tutte le minoranze del Pakistan, co-fondata dal fratello Shahbaz, assassinato oltre due anni fa, politico coraggioso che si era impegnato anche per Asia Bibi. Quello della sicurezza è un assillo sempre presente tra coloro che si sono incaricati di sostenere la causa della donna e di proteggere la sua famiglia, che vive nascosta per evitare rappresaglie. La memoria dei prigionieri accusati di blasfemia assassinati in carcere oppure dopo la liberazione a seguito di una sentenza assolutoria, è ben presente.

Come aveva confermato tempo fa all’agenzia Fides Haroon Masih Barker, fondatore della “Masihi Foundation”, organizzazione attiva a favore di Asia Bibi, «i terroristi si possono nascondere ad ogni passo e perfino infiltrarsi fra le guardie che dovrebbero proteggerla, come è accaduto per il governatore Salman Taseer (assassinato per avere preso le difese della detenuta e per averla incontrata in carcere accompagnato dalla moglie e da una figlia)».


Stefano Vecchia

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