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sabato 29 giugno 2013

Gran Bretagna: continua il dibattito per il voto ai detenuti

www.west-info.eu
George McGeoch e Peter Chester, due detenuti inglesi, hanno fatto ricorso alla Corte Suprema di Sua Maestà per essere riammessi all'elettorato attivo. Chiedono insomma di avere il diritto al voto anche dietro le sbarre. Un caso che infiamma in questi giorni il dibattito politico in Inghilterra. Dove la legge prevede che con l’ingresso in carcere si perde automaticamente il diritto al voto fin quando la pena non viene espiata. 

Giusto o sbagliato? E ancora quanto previsto dall'ordinamento inglese è la prassi o un’eccezione in Europa? Partiamo dal fatto che nel Vecchio Continente, negare la partecipazione alle consultazioni elettorali come pena accessoria alla condanna è un elemento comune, sia pure in una varietà di forme, a molti ordinamenti. In proposito, la Corte Europea dei diritti dell’Uomo si è espressa più volte contro un’automatica perdita del diritto di voto. 

Sulla base di un’interpretazione più marcata del diritto alle libere elezioni previsto dall’art. 3 del Primo protocollo alla CEDU. Su 43 membri del Consiglio d’Europa, oggetti di un recente studio comparato sulle restrizioni elettorali per i prigionieri, è possibile fare una distinzione in tre gruppi. Il primo, che non prevede restrizioni alla partecipazione dei detenuti alle elezioni, è composto da 19 nazioni: Albania, Azerbaijan, Croazia, Cipro, Danimarca, Finlandia, Irlanda, Lettonia, Lituania, Macedonia, Moldavia, Montenegro, Repubblica Ceca, Serbia, Slovenia, Svezia, Svizzera e Ucraina. All’opposto un secondo gruppo di 7 paesi: Armenia, Bulgaria, Estonia, Georgia, Ungheria, Russia e, appunto, il Regno Unito, privano automaticamente del diritto a votare tutti i prigionieri condannati a scontare pene detentive. 

I restanti 16 stati: Austria, Belgio, Bosnia-Erzegovina, Francia, Germania, Grecia, Italia, Lussemburgo, Malta, Monaco, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Romania, San Marino, Slovacchia e Turchia hanno adottato un approccio intermedio. In questi casi, infatti, la privazione del diritto elettorale dipende dal tipo di reato e/o dalla durata della pena detentiva. Nel nostro paese, ad esempio, l’art. 28 del Codice Penale sull'nterdizione dai pubblici uffici precisa che il condannato può essere privato “del diritto di elettorato o di eleggibilità in qualsiasi comizio elettorale, e di ogni altro diritto politico”. Una mappa abbastanza complessa, insomma, oltre che variegata. 

La Cedu, però, ha dato un chiaro segnale verso la direzione da seguire. Anche considerando che il diritto di voto è la manifestazione più visibile della partecipazione alla cosa pubblica e allo stesso tempo costituisce uno dei cardini sia al processo di rieducazione del detenuto, sia al suo pieno sviluppo come persona.

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