Pagine

lunedì 13 maggio 2013

Uzbekistan, vietato pregare in cella

Vatican Insider
La severità del governo in materia religiosa si estende anche alla vita dietro le sbarre. Aumentano le testimonianze dei detenuti
In cella scatta il divieto di preghiera. In Uzbekistan la libertà religiosa è negata anche in carcere. Come all'epoca infausta delle purghe staliniane e delle detenzioni da incubo raccontate nello storico libro-denucia “Buio a mezzogiorno” di Arthur Koestler, nell'ex repubblica sovietica la severità del governo in materia religiosa si estende anche alla vita dietro le sbarre. Aumentano le testimonianze da parte di detenuti, o persone a loro vicine, riguardo il divieto di pregare e leggere volumi sacri. I parenti di alcuni prigionieri di coscienza musulmani hanno rivelato che nelle carceri dell'Uzbekistan non è possibile pregare. Secondo fonti dell'agenzia missionaria AsiaNews rimaste anonime per timore di ritorsioni, "i detenuti non possono professare il proprio credo o leggere il Corano".

Human Rights Watch ha definito la situazione dei diritti nel Paese «spaventosa», citando l’uso endemico della tortura e le severe restrizioni applicate agli attivisti dei diritti umani, ai membri dell'opposizione al Governo, ai giornalisti, ai leaders religiosi e ai credenti. Dopo che questa ONG ha dichiarato che le libertà continuano ad essere gravemente limitate, nel marzo 2011, la Corte Suprema ha ordinato la chiusura della sua Sede nella capitale Tashkent e l’espulsione del suo team di attivisti, evidentemente «indesiderati». Mukhammadakmal Shakirov, responsabile del Dipartimento statale per il controllo della fede islamica, ha negato il problema, dichiarando che "nelle carceri del Paese, ogni detenuto è libero di pregare o leggere volumi religiosi". Numerose testimonianze, da gruppi confessionali differenti, riportano però come anche nelle prigioni uzbeke la libertà religiosa sia sottoposta a ferreo controllo. Lo scorso aprile, Andrei Serin, della Chiesa battista di Tashkent, ha dichiarato che "a un detenuto membro della comunità è stata sequestrata la propria Bibbia".

L'88% delle popolazione uzbeka è di fede musulmana sunnita mentre i cristiani costituiscono l'8%. Nel Paese, la libertà confessionale è soggetta a forte limitazione da parte del governo. Il rapporto annuale della Commissione statunitense per la libertà religiosa, pubblicato lo scorso 30 aprile, alla voce "Paesi oggetto di particolare attenzione" ha stilato una lista di 15 governi tra i quali quello di Tashkent. La violazione del diritto alla libertà di religione «rappresenta una delle più gravi violazioni dei diritti umani e una minaccia il futuro del Paese», ha documentato l’uzbeko Sukhrobjon Ismoilov, direttore di un gruppo di esperti al meeting annuale dell’Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa (OSCE) tenutosi in Polonia.

Il controllo statale oggi è paragonabile a quello esercitato ai tempi dell’Unione Sovietica: il governo cerca di controllare la crescita e il livello di religiosità nella società, imponendo una «secolarizzazione forzata della coscienza pubblica». Come risultato nelle carceri sono detenuti, a causa delle loro convinzioni religiose, oltre 7mila prigionieri di coscienza. Una delle motivazioni addotte dal governo per giustificare le restrizioni della libertà religiosa è la necessità di combattere l’estremismo religioso e il terrorismo: applicando le rigide leggi in materia, negli ultimi 10 anni, il Governo ha arrestato e imprigionato, con pene previste fino a 20 anni, migliaia di credenti che rifiutano il controllo dello Stato sulla pratica religiosa. Ma secondo Martin Scheinin, relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani e la lotta al terrorismo, «la definizione di terrorismo (e di estremismo violento) viene applicata dal Governo in modo selettivo, politico o abusivo, come strumento per stigmatizzare chi non risulta gradito, come le minoranze, i sindacati, i movimenti religiosi».

La situazione delle comunità cristiane, attesta il rapporto Acs, risente di controlli stringenti (irruzioni durante gli incontri, perquisizioni, intimidazioni) che giungono spesso all’arresto di membri delle comunità. Rifondata con una missione sui iuris nel 1997, la Chiesa cattolica ha attualmente un'amministrazione apostolica che comprende l’intero territorio del Paese (le parrocchie sono 5) e, affidata ai frati minori conventuali, è direttamente assoggettata alla Santa Sede. Pur essendo riconosciuta ufficialmente, l’evangelizzazione, secondo il vescovo francescano Jerzy Maculewicz, è un problema, perché la legge vieta ogni attività missionaria: "Siamo costretti a rimanere circoscritti ad agire all'interno delle nostre chiese. Accogliamo e catechizziamo la gente che viene da noi, ma non possiamo annunciare il Vangelo".
Giacomo Galeazzi

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.