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domenica 24 marzo 2013

Iran - Saeed Abedini, pastore di origini iraniane, scrive alla moglie dal carcere di Evin, Teheran

cristiani.info

Saeed Abedini, 32, è un giovane pastore di origini iraniane, nella famigerata prigione di Evin, Teheran, dal 26 settembre del 2012, “per aver attentato alla sicurezza nazionale” (leggi: attività evangelistiche). Nel mese di gennaio del 2013 è stato condannato a 8 anni di carcere. La moglie teme che possa non uscirne vivo. “Otto anni di carcere – ci ha ripetuto Naghmeh giovedì scorso durante un’intervista telefonica – sono pari ad una condanna a morte”. Quella che segue è la prima parte di una lettera che Saeed le ha fatto pervenire.

Ciao, mio caro amore e moglie,

Quando ho visto la mia famiglia per la prima volta dietro le pareti di vetro, sono riuscito a vedere mia madre a quattro metri di distanza. Quando mi si è avvicinata e ha visto la mia faccia, è rimasta sconvolta, incapace d’avvicinarsi. Stava piangendo. Ho capito quello che provava perché dopo settimane in cella d’isolamento nella prigione di Evin, io stesso avevo visto la mia faccia nello specchio di un ascensore che mi stava portando all’ospedale del carcere. Avevo salutato la persona che mi fissava; non mi ero riconosciuto. Avevo i capelli rasati; sotto, gli occhi erano gonfi tre volte più del solito; avevo il volto gonfio, la barba era cresciuta.

Un paio di giorni prima, uno dei membri della mia famiglia, con gli occhi stanchi per essere andato in giro per 15 settimane nel tentativo di farmi uscire dal carcere, mi aveva detto che mio padre diceva ogni giorno “questa settimana riuscirò a tirar fuori dal carcere mio figlio”. Ma questo non accade e lui non è in grado di farmi uscire di prigione. In quel momento ho guardato nel volto pieno di rughe di mio padre e nei suoi occhi stanchi. Mi sono reso chiaramente conto che aveva corso per mesi e che non gli era rimasta più alcuna forza. Era molto duro per me vedere la mia famiglia ridotta in quello stato.

Tu, moglie mia, dall’altra parte del mondo, da sola con i bambini. Da sola e preoccupata. Qui in Iran la mia famiglia, sottoposta a interrogatorio, stanca e stressata.

Al grido della guardia carceraria, il tempo delle visite è terminato. Ci hanno bendato gli occhi e ci hanno riportato nella cella buia senza luce naturale.”


Continua

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